L’amica geniale 3 – Storia di chi fugge e chi resta, recensione degli episodi 7 e 8
L'amica geniale 3 si conclude in modo coerente con tutto quello che abbiamo visto, ma anche troppo sottotono
Chiude sottotono L’amica geniale 3, nonostante la trama vada verso il cliffhanger con Lenù che lascia la famiglia, insegue l’amore giovanile e tramite esso l’idea di liberarsi dal ruolo che la società affida alla donna in cui era sprofondata. Tutto fino a specchiarsi in quello che è diventata, cioè Alba Rohrwacher, l’attrice che la interpreterà a partire dalla prossima stagione (una trovata davvero bella che mette insieme cambiamento diegetico ed extradiegetico). Lenù sembra aver trovato qualcuno che apprezza la sua intelligenza e le sue capacità e non vuole chiuderla in casa a fare la madre e la serva. Prende insomma la forma delle molte madri che si vedono nelle storie di Elena Ferrante, non per forza dedite alla famiglia, piene di dubbi, difficoltà e fatica proprio nell’incarnare quella dedizione totale che attribuiamo al ruolo di madre, come se non potessero esistere altri modelli. La serie però da questo finale confeziona due puntate domestiche, focalizzate moltissimo sulla crisi coniugale, il tradimento e la decisione. Due puntate senza che poi ci sia un’effettiva traduzione dei temi più interessanti legati a questa separazione. Anzi sembra che le idee di Elena Ferrante siano messe da parte.
Una storia in linea con il cinema di Daniele Luchetti
È impossibile dire se Daniele Luchetti sia stato scelto per la regia perché la serie stava prendendo la piega che è cara ai suoi film e al suo vissuto o se lui ha dato una spallata nella direzione della pornografia della separazione (la risposta più probabile è come sempre un misto delle due), di fatto sempre di più la terza stagione si è piegata su ritualità e convenzioni del cinema italiano che Luchetti ha contribuito a creare e fondare tra la fine degli anni ‘90 e gli anni 2000. Già il fatto che nella prima di queste due ultime puntate la presenza di Sarratore in casa non crei quella tensione (erotica, sentimentale o anche solo verso lo svelamento di cosa voglia) che dovrebbe ammazzare il racconto, e questo prima ancora che vengano ribadite le solite convenzioni sulla separazione. Anche il linguaggio del corpo dei tre attori (che occupano, vale bene la pena ribadirlo, ben due puntate) è quanto di più convenzionale e non fa che ribadire il consueto, le solite dinamiche, o se vogliamo l’idea di una messa in scena che vuole somigliare ad altro cinema già noto.
L'amica geniale 3 si conclude con due episodi che danno spazio a Pietro
È tutto in linea con il complesso di idee di messa in scena a cui ci ha abituato questa terza stagione, a partire dalla fastidiosa sovrapresenza della musica d’epoca usata per rievocare un’idea del passato con sguardo nostalgico, ma anche l’eccesso dei costumi ostentati, delle auto, più in generale la mania della ricostruzione messa in evidenza tramite inquadrature sempre calibrate per far notare dettagli e soffermarsi su elementi della memoria. Gli eventi sono ambientati negli anni ‘70 ma l’impressione è che il godimento principale, di nuovo come in molto cinema italiano, sia proprio la rievocazione d’epoca e l’effetto nostalgia.
Il dettaglio più interessante a questo punto è la maniera in cui in entrambe le puntate il focus registico (e in un certo senso anche di scrittura) sia su Pietro, marito di Lenù e in teoria vittima del triangolo, parte solitaria e meno interessante perché dovrebbe essere la tensione di Lenù ad avere il proscenio. Invece sia il ritorno alla scrittura di lei che poi l’amore con Sarratore sembrano diventare lo sfondo per l’arco del personaggio di Pietro. Con una serie di piani d’ascolto ben piazzati e molto presenti, cominciamo ad empatizzare con il suo punto di vista sulla questione, a lungo l’unico che possiamo avere (infatti quasi coglie di sorpresa l’esplodere della passione). E questo molto più che nelle altre incursioni della vecchia vita di Lenù nella nuova vita della coppia.
Se le ultime due puntate fanno qualcosa è raccogliere quanto seminato nel momento in cui è stato creato il personaggio (televisivo) di Pietro. Il suo ruolo, l’arrivo di Pasquale, poi la pistola puntata in faccia agli esami, la posizione subalterna in una famiglia che pretende molto, il desiderio di ruoli tradizionali e il fastidio di avere accanto qualcuno di intellettualmente più prestante fino al suo essere timoroso che, viene messo bene in chiaro, è in aperto contrasto con l’esperienza di Lenù, la quale nel rione ha sperimentato già più volte tutto quello che spaventa Pietro e non lo teme poi così tanto. In questo senso (e solo in questo), è più vicina al ruolo tradizionale di uomo di lui, umiliandolo anche in quel comparto.
Del resto la posizione in cui Pietro cerca di mettere Lenù ben si accoppia con gli studi che lei conduce per il suo nuovo breve libro sull’invenzione della donna attraverso la letteratura maschile. Anche Pietro inventa una donna per sé e cerca di fare in modo che Lenù vi aderisca, e del resto lei mette in dubbio quanto di quel che ha e che ha perseguito sia davvero frutto della sua volontà. Allo stesso modo è messa in dubbio anche la posizione sentimentale in cui la relega Sarratore, il quale sembra quasi dichiararlo quando parla dei giochi d’amore delle regine e di come fossero anche quelli modi di ingabbiare una donna. Sono tutti spunti del testo, ben adattati e che emergono in modi molto organici, senza suonare forzati, ma anzi appaiono ogni tanto come canditi inattesi, lungo un finale deludente per capacità di tirare le fila e anche solo acchiappare.