Lamborghini: The Man Behind The Legend, la recensione

La storia di Ferruccio Lamborghini viene letta attraverso la luce di Enzo Ferrari e ricalcando le parabole degli eroi americani

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Lamborghini: The Man Behind The Legend, il film disponibile su Prime Video dal 20 gennaio

Sono molti i fronti sui quali Lamborghini può dirsi un film fallito. Lo è innanzitutto su quello dell’intrattenimento, che era l’obiettivo principale, acchiappare lo spettatore con la storia dietro la leggenda, con il mito del grande imprenditore delle auto che si è fatto da solo a partire da umili origini. Troppo sciatta è la sceneggiatura per riservare davvero un po’ di appassionante intrattenimento. È fallito poi sul fronte della ricostruzione d’epoca, così posticcia e americana da far sorridere. È fallito sul lato delle interpretazioni, davvero in pochi possono dirsi più fuori parte di Frank Grillo come Ferruccio Lamborghini e Gabriel Byrne come Enzo Ferrari. Infine è fallito sul lato del racconto appassionato, che se non è il dettaglio che lo condanna forse è quello più grave.

Tutto poteva sbagliare Lamborghini (il film) ma non il lato della passione per le auto o per quell’epoca in cui in pochi chilometri quadrati veniva prodotto il meglio della auto mondiali, invece questa storia così pedissequa, che segue Ferruccio Lamborghini dal ritorno dalla guerra all’ascesa nell’Olimpo dei produttori di auto, non ha mai davvero il respiro della grande storia di automobili. Se ogni tanto, almeno, centra un po’ di tecnicismi che spiegano come mai proprio quelle auto sono riuscite a scalfire il dominio di Ferrari, non c’è mai il senso di fascinazione dell’uomo per le automobili, il segreto della loro presa sulle persone.

Cosa ancora peggiore questo film scritto e diretto da Bobby Moresco, prodotto dalla Ambi Pictures di Andrea Iervolino con il supporto di fondi americani (principalmente Lionsgate) e della distribuzione italiana (Notorious), è un prodotto di esportazione che non dice niente agli italiani e dà alla storia di un italiano l’andamento e soprattutto i valori statunitensi. Lamborghini in questo film è un eroe americano e non italiano, sembra avere quel tipo di etica, di sogni e aspirazioni. Ha il modo di fare e quindi i conflitti e i problemi delle parabole di ricerca della grandezza americane, senza avere nulla invece di quelle italiane, suonando così falso come poche altre cose.

E se ancora ancora, in un impeto di comprensione produttiva, tutto ciò potrebbe essere giustificabile inquadrando il film come un’operazione sostanzialmente non diretta a noi (del resto va su una piattaforma, quindi ha una distribuzione immediatamente mondiale), è molto meno giustificabile la pigrizia di narrare la grandezza di Lamborghini sfruttando Ferrari. Da subito il film legge la storia di Ferruccio Lamborghini come la storia di uno che si è opposto a Enzo Ferrari, e manterrà questa lettura fino alla fine, di fatto celebrando il primo mentre si conferma ed esalta in realtà il secondo. È tutto vero, effettivamente quella era la molla a spingerlo, ma che un film che vuole illuminare Lamborghini utilizzi sempre e soltanto la luce del più noto costruttore d’auto del mondo per riuscirci è davvero il  lavoro minimo possibile.

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