L'Albero dei Frutti Selvatici, la recensione
Tra sogno e realtà L'Albero Dei Frutti Selvatici solo a tratti mostra il Ceylan migliore ma è comunque un film che lascia sbigottiti
Non a caso in L’Albero Dei Frutti Selvatici uno di questi momenti si presenta proprio mentre il protagonista è sotto le fronde di un albero di pere (selvatico) in mezzo alla campagna, sta lì a vivere un attimo sospeso quasi felliniano in cui incontra una ragazza, che probabilmente conosceva da tempo e che dopo scopriremo sta per sposarsi per interesse. Nell’aria c’è tutto quello che non si dicono e che non si tratti di uno dei molti sogni che popolano il film lo conferma il fatto che, per il resto della storia, porterà sul labbro una cicatrice di quel momento.
Non lo dice nessuno ma lo capiscono tutti, quella è la vita che non vivrà.
Non tutto L’Albero Dei Frutti Selvatici è al medesimo livello e tra un grande inizio e un finale (quello sì davvero felliniano e riuscitissimo) c’è una parte centrale più immobile, in cui le caratteristiche migliori di questo cineasta fenomenale latitano. In ogni film di Ceylan infatti il pubblico è sempre conscio di quale sia la situazione atmosferica, se ci sia il sole, il vento, le nuvole o la pioggia, anche quando si tratta di scene d’interno. Perché per lui non esiste atmosfera di una scena senza che il meteo possa influire. Nei suoi momenti migliori è una caratteristica che incastra i personaggi nel pianeta, li rende parte di un tutto più grande, come se ogni azione fosse anche influenzata da quel che accade intorno. Nei peggiori è uno sfondo.
Tutto in L’Albero Dei Frutti Selvatici vive grazie a queste piccole fiammate (il dialogo con lo scrittore affermato ne è un altro esempio) e non riesce ad appassionare per tutta la sua ingiustificata durata.
Tuttavia nonostante questo è inevitabile lasciare il film consci che lamentarsi per i difetti di un’opera che sa essere così densa, penetrante e “vasta” nelle sue ambizioni è un controsenso. Avercene.