L'Alba del Pianeta delle Scimmie, la recensione
Il prequel della saga del Pianeta delle Scimmie diretto da Rupert Wyatt si dimostra un eccezionale lavoro di scrittura e regia a cui è difficile resistere...
“Voi uomini l'avete distrutta! Maledetti per l'eternità, tutti!!" esclamava Taylor sul finire di Il pianeta delle scimmie riferendosi all'amata Terra poco dopo avere compreso che tutta la sua avventura, la prigionia e la fuga, non erano stato altro se non un viaggio in un futuro ormai improcrastinabile.
L'alba del pianeta delle scimmie azzera molte di queste domande, ma di certo non è un prequel in senso stretto, come per esempio la seconda trilogia di Guerre Stellari. Dove lì ogni elemento citato “nel futuro” si incastrava perfettamente in un racconto del passato finalmente mostrato e non solo citato, qui rimane il senso generale, le scimmie al potere, ma non date e cause, almeno non fino in fondo. Purtroppo, o per fortuna, non si può dire cosa combaci e cosa no se non spoilarando, quindi meglio non entrare troppo del dettaglio. Sia chiaro però che anche se L'alba del pianeta delle scimmie potrà diventare il primo capitolo di una saga completamente nuova, la tensione che immette fin dal suo primo fotogramma e che si mantiene fino all'ultima scena si avvale molto del fatto che già si sappia come andrà a finire (ovvero male per gli umani). Potrebbe essere un punto a sfavore ma il regista Rupert Wyatt, assieme ai suoi due sceneggiatori, riescono a trasformare il pessimistico e già conosciuto epilogo in elemento positivo, un'ineluttabilità su cui c'è da scavare il più possibile per capirne le ragioni.
L'ambiguità del personaggio interpretato da James Franco, intelligente, amorevole e generoso tanto quanto ambizioso, egoista e ingenuo, sintetizza al meglio questo dilemma che finisce per arrivare fino alla mente dello spettatore per porgli la fatidica domanda: tu, nella situazione raccontata nel finale, da che parte staresti?
E così L'alba del pianeta delle scimmie, grazie alla sua matematica sceneggiatura, battute e scene che come granellini di sabbia formano arenili di sentimenti e ragionamenti che ti prendono per mano, così come alla bella regia di Wyatt che non banalizza nulla e corre veloce quando non vale la pena sottolineare parti di storia che si possono intuire da soli (vedasi la ripresa del nonno interpretato alla grande da John Lithgow o l'amore tra Franco e la Pinto), riescono, se era possibile, a non fare rimpiangere il cult degli anni '60 e a candidarsi, ci auguriamo, per gli Oscar 2012 in categorie che non sono solo quelle tecniche. A questo punto non rimane che aspettare e vedere se la speranza si trasformerà in pronostico azzeccato...