Le Verità, la recensione | Venezia 76
Kore-eda in trasferta, Le Verità propone i temi cardine del suo film ma senza trovare una chiusa all'altezza dell'operazione
Il riflettore di Le Verità è tutto puntato su Catherine Deneuve, grande attrice, pessima madre di una figlia ora diventata sceneggiatrice in America con marito americano attore anche lui ma di serie B. Lei non perdona nulla a nessuno, è megalomane, vanitosa ed egocentrica come il peggior stereotipo di una diva. A Catherine Deneuve viene concesso un affascinante umorismo cattivo e cinico, fa ridere il pubblico e lascia trapelare più sentimenti di quelli che il suo personaggio dichiara, troneggia in ogni scena attirando tutte le attenzioni.
Come tutti i personaggi altezzosi, straordinari e terribili quello di Catherine Deneuve riempie lo schermo di un film che lavora benissimo su tutti gli attori, che dosa Ethan Hawke e sembra brillare quando manipola, aiuta e sostiene la sua bambina attrice.
C’è ovviamente qualcosa che incombe su questa famiglia che si riunisce quando inizia il film, qualcosa nel passato i cui effetti sentiamo anche adesso. Non siamo tuttavia in un film di Asghar Farhadi, non siamo in Il Passato, c’è un mistero che però è tale solo per noi che non lo sappiamo e non per i personaggi e soprattutto questo mistero non è un intreccio.
Purtroppo Le Verità sembra rincorrere sempre i suoi personaggi, un passo troppo indietro per apprezzarli e capirli ma non così lontano da non vederne la complessità. Ce ne accorgiamo quando arriva la risoluzione finale, non forte come al solito, priva di quella forza che contraddistingue i migliori film di Kore-eda, una forza simile alla bellezza quieta e ordinaria delle fronde scosse dal vento. Non ci sono grandi risvolti o scoperte illuminanti, Le Verità mantiene una calma apparente con pochi scossoni che lo danneggia e gli impedisce di fare il passo finale da scenario appassionante a film conivolgente.
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