La variabile umana, la recensione

Come molto cinema italiano recente il film di Oliviero si nasconde dietro un patina di genere, cercando una sperimentazione formale pretenziosa che non conduce da nessuna parte...

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

Quella della sporcatura di genere, della vena di giallo o di thriller o di quel che vi pare, è una fastidiosa tendenza del cinema italiano recente, che nel suo animo rimane lo stesso (storie di famiglie, storie di adolescenti problematici, sempre e comunque in interni più che borghesi, tradimenti ecc. ecc. tutto condotto con un continuo ricorrere ad espressionismi recitativi che sono tali solo nella volontà del regista) ma superficialmente indossa un manto di genere. Una dinamica più ridicola che altro.

Era l'idea dietro a La doppia ora, La ragazza del lago e molti altri film su questa scia.

Proprio a La ragazza del lago sembrerebbe guardare La variabile umana. C'è un investigatore a cui è affidato un caso, ha una famiglia, la cui madre non c'è più e si divide tra la figlia adolescente e il caso con fare apatico nei confronti della vita. Ma è solo la prima parte, nella seconda Bruno Oliviero sceglie di andare su altri lidi enfatizzando ancora di più la componente di "cinema italiano" rispetto a quella di genere, i grandi silenzi espressivi, calcare la mano sulla recitazione, simbolismi da scuola di cinema (il taglio della mano che è la ferita materiale e spirituale indotta dalla scoperta), poco dinamismo e molto paesaggio.

La storia si ambienta in una Milano che si vorrebbe scenario non neutro, presenza ingombrante, città ripresa nei totali quasi solo di notte e per il resto vista attraverso dettagli, angoli di palazzi e luci al neon. Tutto è scomposto e destrutturato per essere ripresentato con un valore aggiunto che non c'è. Ed è solo un esempio di un modo di procedere volutamente complesso.

Tutto La variabile umana infatti è montato procedendo per ellissi, molto spesso negando lo svolgersi degli eventi e arrivando a riprendere ciò che c'è subito prima o subito dopo, preferendo le camminate all'arrivo, i primi piani ai totali che spiegano gli eventi. C'è insomma una velleità autoriale fortissima non supportata da niente.

Nonostante la presenza di Silvio Orlando e Giuseppe Battiston, La variabile umana è uno dei film recitati peggio di tutta l'annata, un vero supplizio, che fa il paio con la volontà pervicace di trarre molto da una storia che ha poco da dire. Non è solo il blando riferimento all'attualità che sottende l'intreccio ma proprio l'idea di fondo di indagare il rapporto padre-figlia e un uomo che viene a patti con le difficoltà di conciliare etica del lavoro e sicurezza familiare, a crollare miseramente. Di quel che si vorrebbe nel film non c'è nulla e quel poco è massacrato dal montaggio per ellissi, dai silenzi e da tutto quello che in questo film guarda verso un registro alto senza arrivarci mai.

Continua a leggere su BadTaste