La stanza, la recensione
Le ambizioni ci sono anche in La stanza ma una buona regia non è mai supportata da una scrittura all'altezza di quegli obiettivi
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In questo modo anche il buon tono che l’inizio sembra promettere si esaurisce in fretta e ci mettiamo moltissimo a capire di cosa parli questa storia. Un tempo che non è mai riempito di eventi o almeno tensione, lo scopriamo senza che il lento svelamento sia un piacere e senza che sia alimentato dalla suspense. Un uomo arriva in una specie di locanda/hotel/BnB proprio mentre la proprietaria si sta per suicidare, lui impone la sua presenza e cerca di socializzare. Quali siano i problemi è un mistero ma è chiaro che nella casa c’è anche un figlio, non proprio piccolo, che passa le giornata chiuso nella sua stanza. Chiuderà il cast il marito e padre (quando arriverà). Cosa leghi i personaggi e motivi il nuovo arrivato è il punto di tutto. Ci arriveremo tardissimo ma soprattutto una volta spiattellato (rigorosamente a parole!) sarà tutto così assurdo e fuori dal genere che fino a quel momento La stanza aveva proposto da suonare fuori posto. In parole povere gli sceneggiatori non riescono a costruire la credibilità di quella svolta, che invece visivamente forse poteva reggere.
Con pseudo-psicologia a pacchi proposta in lunghi monologhi che spiegano tutto, intervallati da pianti di Camilla Filippi, La stanza quasi da subito non fa che ripetere le medesime dinamiche tra personaggi, con un crescente senso di noia, ripetizione e nessuna evoluzione per lo spettatore che si sente ribadire sempre le medesime questioni.Difficile, dopo così tanti minuti in compagnia di personaggi che ci hanno spiegato tutto di sé e non hanno fatto che ripeterlo e ripeterlo, avere un po’ di empatia verso di loro quando il gran finale introdurrà un po’ di azione e tirerà le somme.