La stanza delle meraviglie (prima stagione), la recensione

Nei suoi otto episodi, La stanza delle meraviglie assembla un'antologia di brillante ricchezza e varietà, inno al fantastico e al bizzarro

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La nostra recensione di La stanza delle meraviglie di Guillermo del Toro, disponibile su Netflix dal 25 ottobre 2022

Osservando la paciosa introduzione che Guillermo del Toro pone come incipit di ciascun episodio di La stanza delle meraviglie, la mente corre subito al Rod Serling di Ai confini della realtà; come nella serie del ’59, così anche la caleidoscopica creatura del regista messicano è infatti un’antologia del soprannaturale, presentata direttamente dall’ideatore al suo pubblico con un breve monologo in testa a ogni puntata.

Ad amplificare il concetto di serie-contenitore contribuisce lo stratagemma scenografico di un vero e proprio gabinetto delle curiosità (questo il titolo originario della serie). In un perfetto parallelismo tra forma e significato, Del Toro apre di volta in volta uno scomparto diverso del suo ligneo studiolo per estrarne un racconto a sé stante, a formare una sinfonia fantastica di mirabile armonia.

Visione illuminata

La tematica della morte - come rinascita, fonte di terrore, portatrice di verità, strumento di catarsi o àncora al passato - è presente in ogni racconto; allo stesso modo, ricorrono spesso i temi della cupidigia, della curiosità, della hybris fatale, punti fermi della grande tradizione orrifica. Già, la tradizione; lungi dal voler innovare a ogni costo gli schemi narrativi, Del Toro crea un affresco variegato e coinvolgente, traendo forza da soluzioni di sperimentata efficacia.

Un prodotto come La stanza delle meraviglie diviene dunque manifesto di una visione della serialità precisa e acuta; pienamente consapevole delle potenzialità della narrazione episodica, rifugge l'errore fatto da tanta televisione contemporanea: limitarsi a stiracchiare materia cinematografica, costringendola a forza in un contenitore del tutto diverso. Questa prima stagione sfrutta invece appieno la frammentazione antologica, creando gemme di diverso taglio e colore a creare un gioiello di luminosa vivacità.

Mosaico magistrale

Avendo personalmente scelto otto cineasti con esperienza di horror o fantasy, Del Toro ha garantito alla serie una ricchezza di visioni difficile da riscontrare in prodotti analoghi; basti pensare a Black Mirror, la cui solida identità si è andata sfaldando via via in stagioni sempre più sciatte e prevedibili. Sebbene non tutte le puntate di questa prima stagione mantengano i medesimi standard di ritmo e originalità, la cura dietro ogni storia è innegabile.

A conferma della paternità deltoriana, la raffinatezza estetica di ambienti, costumi, fotografia e scenografia è un banchetto visivo raro per la televisione recente. Non si tratta, si badi, di un mero sfoggio pittorico fine a sé stesso; ci troviamo davanti a una poetica visuale che diviene racconto e, spesso, presagio. In questo senso, La stanza delle meraviglie è impeccabile esemplificazione del concetto di narrazione per immagini, alleggerita dal peso di un didascalismo verboso. L'inquadratura spesso parla da sé senza bisogno di parole, e l'ellissi dialogica diviene strumento efficace per aumentare l'aura di mistero. Un sontuoso trionfo di bizzarra bellezza, ode alla fantasia e alla creatività più brillante.

Meraviglie in vetrina

Se quanto finora scritto è una visione a volo d'uccello su La stanza delle meraviglie, è anche doveroso spendere qualche parola sui singoli episodi. Già la scelta dei registi meriterebbe un discorso a sé, poiché al timone di questi vascelli troviamo tutte figure già note nell'ambito cinematografico e televisivo, sebbene nessun nome di eco internazionale; da Guillermo Navarro (Hannibal) a Vincenzo Natali (Cube, Splice), da Ana Lily Amirpour (A Girl Walks Home Alone at Night) a Catherine Hardwicke (Twilight) e Jennifer Kent (Babadook).

Una vetrina elettrizzante, che consente ai registi di mostrare il proprio smalto migliore nella rassicurante cornice del gabinetto deltoriano. La visione straniante e allucinatoria prevale negli episodi diretti da Amirpour (L'apparenza) e Panos Cosmatos (La visita), mentre in quelli di Hardwicke (I sogni nella casa stregata) e Natali (I ratti del cimitero) prevalgono i toni da racconto gotico. Allo stesso modo varia l'origine letteraria delle storie rappresentate; trasposizioni di Lovecraft si alternano a opere dello stesso Del Toro, di Kuttner o sceneggiature originali (La visita).

Viandanti dell'ignoto

Il risultato è una carrellata di aberrazioni, un viaggio che attraversa le tappe della follia e del terrore. La mostruosità è spesso celata allo sguardo, nascosta dietro una facciata rassicurante (Dan Stevens di L'apparenza), inganno per i protagonisti così come per lo spettatore. Non mancano contaminazioni fantascientifiche (come negli splendidi L'autopsia e La visita) e note più dolcemente malinconiche, sottili dolori famigliari correlati alla perdita (I sogni nella casa stregata e Il brusio). Eppure, le strade percorse a partire da temi e ispirazioni comuni divergono rapidamente, mostrando ancora una volta la varietà di questa antologia.

Sotto l'ala protettiva del paterno Del Toro, gli otto registi - coi loro impressionanti team - si sono potuti muovere liberamente, esplorando l'orrore ciascuno a suo modo. A coronare la promozione a pieni voti dell'operazione, parecchie performance attoriali che resteranno a lungo nel cuore dello spettatore; l'inquietante frustrazione di Kate Micucci in La visita, la sobria professionalità di F. Murray Abraham in L'autopsia, l'oscura genialità di Crispin Glover in Il modello di Pickman. E ancora: la nervosa ricerca di Rupert Grint in La casa stregata, la dolente incomunicabilità di Essie Davis ed Andrew Lincolnin Il brusio.

Un coro di mostri

Quindi, sì: La stanza delle meraviglie è certo un progetto di Guillermo del Toro, ma è anche molto di più. La chiave della sua sfavillante riuscita risiede, infatti, nella diversità, nell'originalità, nell'impronta individuale di ogni artista coinvolto. Torna alla mente la dichiarazione d'amore ai mostri fatta da Del Toro in occasione della sua vittoria al Festival di Venezia con La forma dell'acqua: "Rimanendo puri e fedeli a ciò in cui si crede - nel mio caso, ai mostri - si può realizzare qualsiasi cosa."

Ricordando che il significato originale di monstrum è, in effetti, "prodigio", la visione dietro questa stagione corale diviene chiara. Del Toro ha radunato i suoi fenomeni ma, lungi dal volerli costringere a uniformarsi alla propria poetica, li ha lasciati liberi di esprimere la propria unicità. Salutiamo quindi La stanza delle meraviglie per quello che è: una splendida, perturbante galleria di opere uniche, frutto di menti diverse e del tutto fuori dall'ordinario.

Potete restare aggiornati sulla serie consultando la nostra scheda.

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