La recensione di La stagione dei matrimoni, dal 4 agosto su Netflix
C’è sicuramente del mestiere dietro
La stagione dei matrimoni: in questa commedia romantica scritta da
Shiwani Srivastava e diretta da
Tom Dey non manca infatti nessuno degli ingredienti del perfetto
comfort movie. Senza pretese, un pizzico divertente, romantico senza essere sdolcinato. La variazione sul tema si attua invece nell’argomento di interesse del film, essendo questo la storia di come due giovani adulti provenienti da famiglie tradizionaliste indiane (ma che vivono a New York) cercano di destreggiarsi tra le aspettative culturali originarie (il matrimonio, il lavoro, la stabilità economica come sinonimo di felicità) e un’individualismo libertino e apolide, trovando nell’amore uno strano compromesso tra due mondi apparentemente inconciliabili.
La protagonista è Asha (Pallavi Sharda), una ragazza che lavora duramente per realizzare il suo sogno di un fondo per le donne in difficoltà che vogliono realizzare delle imprese. Asha è sulla soglia dei trent’anni e i suoi genitori a sua insaputa le organizzano incontri con ragazzi indiani per spingerla a sposarsi. Il primo incontro con Ravi (Suraj Sharma) è un disastro, così i due per far tacere i loro genitori e i loro amici decidono di fingersi una coppia passando insieme la “stagione dei matrimoni” indiani a cui sono invitati. Nella finzione, tuttavia, una vera scintilla d’amore cambierà la situazione.
Apparentemente
La stagione dei matrimoni è la solita commedia romantica dal finale scaldacuore: effettivamente lo è, la struttura è la più classica che si potrebbe pensare (si seguono pedissequamente tutti i momenti di rifiuto, dubbi, innamoramento) eppure tra una risata e una scena romantica si instaurano piccole variazioni che rendono il tema, e non la storia d’amore, il vero protagonista del film. Si tratta di una sottigliezza (il film infatti non fa la voce grossa su ciò che ha da dire) ma alla fine dei conti il film funziona proprio, oltre perché ha un buonissimo ritmo e lavora di cesello sulle inquadrature in modo sempre funzionale, perché offre allo spettatore una finestra su una situazione particolare, rendendo il compromesso culturale il vero punto di interesse.
È un po’ come se la storia d’amore fosse la scusa per parlare d’altro: dell’essere indiani in terra straniera, di cosa vuol dire mantenere le tradizioni adattandole a un tempo nuovo, cosa vuol dire rispetto, fino a che punto la libertà del singolo significa rifiuto e quando è autodeterminazione consapevole. Il tutto con leggerezza, lasciandoci con l’impressione piacevole di un racconto ben pensato e sinceramente votato alla propria storia.
Siete d’accordo con la nostra recensione di La stagione dei matrimoni? Scrivetelo nei commenti!
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