La Sirenetta (2023), la recensione
Simile al film animato nella prima parte e poi pieno di nuove aggiunte nella seconda, La sirenetta funziona solo quando copia il suo modello
La recensione del remake in live action di La Sirenetta della Disney, in uscita nei cinema il 24 maggio
Almeno per quella parte Marshall ha scelto di non saltare nemmeno una delle trovate visive migliori del film animato, che diventano anche le trovate migliori di questo film, come la coreografia del brano "La Sirenetta" (il celebre "Part of your world"), che porta Ariel sempre più verso la superficie insieme al suo desiderio, in una spirale ascendente tra oggetti degli umani che si interrompe a un passo dalla meta e la fa lentamente poggiare con mestizia di nuovo su quello stesso fondo del mare cantato successivamente in allegria da pesci in computer grafica così realistica da privarli di carattere ed espressione.
I problemi arrivano nella seconda parte, quando il film si sposta sulla terraferma, aggiungendo parti, allungando la storia senza arricchirla e creando nuove canzoni e nuovi numeri musicali (incaricati di fare il riassunto di quel che è accaduto fino a quel momento): la qualità inferiore rispetto al resto si nota. Ariel come sempre si innamora di un umano e con spinta adolescenziale rischia tutto, motivata dalla speranza di provare un sentimento, stringendo un patto con la strega Ursula: dovrà conquistare il principe ma senza voce, pena la riduzione in schiavitù. E come sempre a contrastarla ci sarà Ursula stessa che con un’azione uguale e contraria a quella della strega di Biancaneve tramite un incantesimo si trasforma, diventa bella e umana e si intromette nella trama per averla vinta e condannare la protagonista. Sono quei meccanismi eterni e di provato successo per come furono rielaborati già nel 1989 e non tradiscono.