La scuola cattolica, la recensione | Venezia 78

La scuola cattolica, film di Stefano Mordini sul delitto del Circeo, delude un po' le aspettative con un racconto fin troppo confuso

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La scuola cattolica, il nuovo film diretto da Stefano Mordini, aveva tutte le carte in regola per rappresentare un progetto molto interessante grazie all'opera letteraria da cui è tratto, il libro di Edoardo Albinati vincitore del Premio Strega nel 2016, un cast composto da giovani interpreti di talento e da attori di grande esperienza, e il legame con una delle notizie di cronaca nera che più hanno sconvolto l'opinione pubblica negli anni '70, il delitto del Circeo. Il risultato, purtroppo, è confuso e poco incisivo, lasciando la delusione per l'occasione mancata e per la poca incisività del racconto.

Gli eventi, proposti con continui salti temporali che confondono più che dare ritmo al racconto o creare tensione narrativa, sono ambientati nel 1975, seguendo quanto accade a un gruppo di adolescenti che studiano in una delle più famose scuole cattoliche maschili di Roma, struttura frequentata dai figli della migliore borghesia. I genitori però non sono del tutto consapevoli di quello che accade nella vita dei teenager, delle loro pulsioni e del lato più oscuro e violento della loro quotidianità fino a quando, nella notte tra il 29 e il 30 settembre 1975, la verità emerge in modo drammatico.

A raccontare quanto accaduto nei mesi precedenti è Edoardo (Emanuele Maria Di Stefano), uno dei compagni di classe dei colpevoli della violenza che distrugge la vita di Donatella (Benedetta Porcaroli) e Rosaria (Federica Torchetti), voce narrante di una tragedia le cui cause risultano nebulose e tristemente irrilevanti. Non bastano infatti il rapporto con genitori assenti o fin troppo severi a giustificare il progetto tragico ideato dai tre carnefici ai danni di due coetanee che si ritrovano alle prese con un'inspiegabile brutalità.

Stefano Mordini gestisce bene i singoli tasselli che compongono la narrazione del film La scuola cattolica, riuscendo a far comprendere in pochi minuti la situazione di ognuna delle famiglie al centro della trama, svelandone le dinamiche, le luci e le ombre pur non avendo modo di addentrarsi nelle motivazioni alla base delle loro dinamiche e del rapporto tra genitori e figli; il risultato finale è però inferiore alla somma delle singole parti a causa di una struttura eccessivamente complessa e poco lineare che confonde e penalizza il crescendo della tensione. La quotidianità degli studenti è invece all'insegna di divisioni quasi nette tra bulli e vittime, tra studenti modello e chi preferisce dedicarsi alla vita mondana, affidando solo ad alcune scene, come quelle in cui si mostra una breve riflessione teologica, il compito di mostrarne i problemi nel confrontarsi con il passaggio tra l'adolescenza e l'età adulta, situazione che li mette in difficoltà non avendo in molti casi dei modelli positivi da usare come esempio o obiettivi personali in grado di alimentare la voglia di mettersi alla prova e crescere.
I giovani interpreti riescono in parte a sostenere il peso di una struttura narrativa corale così complessa e ricca di frustrazione e apatia, mentre dispiace che attori di grande talento come Fabrizio Gifuni o Valeria Golino abbiano una presenza in scena davvero limitata, non potendo quindi contribuire in modo significativo alla costruzione dell'intreccio.
Non bastano gli scoppi di violenza e l'intransigenza che contraddistinguono Raffaele Guido, interpretato da Riccardo Scamarcio, la natura estroversa di Ilaria Arbus affidata a Valeria Golino, o la tragedia che colpisce la religiosa famiglia Rummo per ritrarre in modo realistico il senso di alienazione e distaccamento della realtà che contraddistingue la situazione dei teenager protagonisti. I membri del cast offrono comunque delle interpretazioni di buon livello, seppur non memorabili, e la star di Baby Benedetta Porcaroli non sfigura alle prese con un ruolo impegnativo e drammatico, al contrario di Giulio Pranno che non può lasciare il segno con un personaggio secondario, pur avendo un ruolo chiave nell'ultimo atto, la cui presenza in scena è davvero troppo limitata per poter risultare in qualche modo rilevante all'interno del film.

A rendere ancora più complicata la narrazione sono i continui salti temporali e il montaggio, non particolarmente incisivo, firmato da Massimo Fiocchi e Michelangelo Garrone.
Le musiche di Andrea Guerra, invece, si distinguono in positivo per il contributo nel creare l'atmosfera e la tensione, soprattutto nella seconda metà del film, senza comunque mai rimanere invadente, coadiuvate dal lavoro compiuto da Luigi Martinucci alla fotografia.

La tematica importante del film e l'affascinante potenziale narrativo rappresentato dal lato oscuro di giovani apparentemente insospettabili in La scuola cattolica si perdono in un insieme troppo confuso e delineato a grandi linee, arrivando all'epilogo e alla rivelazione di quanto accaduto agli studenti senza realmente coinvolgere, rendendo allo spettatore più complicato rispetto al previsto il compito di mantenere alta l'attenzione e riflettere sulle cause di una violenza ingiustificabile e imperdonabile.

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