La ricerca della felicità
Inizio anni ottanta. Chris Gardner viene abbandonato dalla moglie e deve crescere suo figlio da solo, mentre sta facendo pratica senza stipendio in uno studio finanziario. Il film di Muccino è interessante, ma è troppo incentrato su Will Smith e suo figlio…
Insomma, Gabriele Muccino ha ottenuto un risultato storico con La ricerca della felicità. Questo non significa che bisogna parlarne bene a priori e farsi trascinare dal ‘tifo’, ma sicuramente certi snob che non l’hanno mai amato (criticandolo anche eccessivamente e talvolta a sproposito) dovrebbero riflettere meglio sulla loro idea di cinema.
Proprio quest’ultima caratteristica è probabilmente quella che costerà a Muccino una nomination agli Oscar per la miglior regia. E’ un peccato, perché si tratta di un lavoro molto elegante e misurato, in una situazione in cui sarebbe stato facile farsi prendere la mano ed esagerare con i dolly e i primi piani lacrimosi.
Ma dove Muccino dimostra di essere ancora una volta bravissimo è la direzione degli attori. D’altronde, stiamo parlando dell’uomo che ha dato vita alla migliore interpretazione di sempre di Monica Bellucci. Qui tiene a bada non solo il naturale istrionismo di Will Smith, ma anche il rapporto con il figlio (che è veramente tale, anche nella vita reale), senza permettere a nessuno di esagerare.
La madre del bambino scompare dopo circa mezz’ora, ma comunque non c’è nessun tentativo di capire la sua vita e le sue ragioni (a parte quelle più superficiali). Il resto dei personaggi che circondano Chris Gardner sono delle macchiette, che hanno come unica funzione quella di aiutare (o meno) il personaggio principale, ma senza mettere in mostra una vera personalità. Così, si spreca un cast interessante, formato da attori di valore come Thandie Newton, Brian Howe e Kurt Fuller.
E poi, lo schema del film funziona benissimo per la prima parte (quando gli ostacoli iniziano ad aumentare per il protagonista), mentre nelle seconda si ha l’impressione di rivedere una serie di situazioni praticamente uguali a quelle precedenti. La cosa peggiore è che la scalata al successo di Gardner è praticamente invisibile: tutti sono gentili ed entusiasti di lui, ma noi lo vediamo soltanto in circostanze sfortunate e negative.
Insomma, una pellicola interessante nell’asfittico panorama americano, ma che avrebbe potuto essere notevolmente più interessante con un lavoro più approfondito sulla sceneggiatura. Vedrete che, qualsiasi sia il prossimo film di Muccino, migliorerà.