La ragazza ha volato, la recensione | Venezia 78

Wilma Labate trasporta gli spettatori nella quotidianità di una ragazza comune alle prese con un dramma personale che le cambia la vita nel film La ragazza ha volato, presentato a Venezia 78 nella sezione Orizzonti Extra

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La ragazza ha volato, la recensione

Wilma Labate torna alla regia con il film La ragazza ha volato, progetto sviluppato su una sceneggiatura dei fratelli Damiano e Fabio D'Innocenzo, che porta sul grande schermo una storia semplice che riflette con bravura la realtà della società contemporanea, in particolare di una generazione che spesso viene invece ritratta in modo stereotipato e sopra le righe, puntando più ad attirare l'attenzione con storie ad alto impatto emotivo.

Al centro della trama c'è Nadia (Alma Noce) la cui vita viene totalmente stravolta da un incontro dalle conseguenze violente e drammatiche. Il modo in cui reagisce a quanto accaduto porta a compiere un percorso di maturazione ed evoluzione personale che determina il suo futuro mentre intorno a lei il mondo continua a esistere e a muoversi indifferente e freddo, amplificando un senso di solitudine e inerzia che contraddistingue tutta la quotidianità della teenager.

La scelta di ambientare il racconto a Trieste, città valorizzata nei suoi contrasti dalla suggestiva fotografia di Sandro Chessa (Assandira) appare particolarmente vincente grazie agli spazi che assumono quasi un ruolo da co-protagonista nel racconto con le sue tante sfumature e situazioni quasi in perfetto equilibrio tra stasi e movimento.

Nonostante dei passaggi temporali forse resi troppo bruschi dal montaggio di Mario Marrone, la narrazione sfrutta al meglio la bravura della protagonista, davvero intensa nella sua rappresentazione di una giovane che sembra non provare interesse e coinvolgimento in ogni situazione e lascia che le cose le accadano in modo quasi passivo, dimostrando la sua forza interiore solo in pochi momenti di ribellione che la vedono scontrarsi con adulti incapaci di capirne le esigenze e persino di relazionarsi con lei cercando di comunicare ed entrare realmente in connessione.

La fredda esteriorità di Nadia nasconde invece un insieme di fragilità e traumi di cui nessuno sembra mai accorgersi, accompagnando gli spettatori in una solitudine quasi banale nella sua "normalità" e, proprio per questo ancora più in grado di saper trasmettere il dolore provato dalla protagonista. La maturità dimostrata da Alma Noce nell'affrontare un ruolo così impegnativo convince e lascia il segno grazie alla regia di Wilma Labate che è particolarmente attenta nel cogliere i piccoli gesti e l'espressività mai forzata dalla giovane attrice.

Accanto a lei il resto del cast rimane piuttosto in ombra, con l'eccezione di Luka Zunic che è al centro di una scena di violenza emotivamente spiazzante per la freddezza con cui si compie, nonostante la giovane età, un controllo mentale che lascia la propria vittima spiazzata e incapace di reagire.

La ragazza ha volato non offre mai spiegazioni per le scelte compiute e lascia che siano i risultati delle decisioni prese e non mostrate a far compiere dei passi in avanti al racconto, spietato nella sua linearità ma che lascia aperta la porta alla speranza di un futuro migliore che sembra comunque una possibilità sempre sfuggente. I vari capitoli che compongono il film offrono gli elementi essenziali per capire in che modo si è evoluta la situazione, volutamente senza approfondire le ramificazioni di quanto accaduto in precedenza, lasciando in sospeso degli spazi emotivi e narrativi che abitualmente sarebbero stati al centro di un lungometraggio e in questo caso, al contrario, rappresentano solo la cornice della narrazione, offrendo così una prospettiva piuttosto originale rispetto a progetti dalle carattetistiche simili che, abitualmente, si concentrano sui processi che conducono a una scelta e lasciano in secondo piano le sue conseguenze pratiche.

Labate firma con il film un racconto al femminile molto interessante e in grado di far riflettere, portando in superficie una realtà non legata a situazioni di degrado sociale o arretratezza economica in cui c'è comunque spazio per il peggio dell'umanità, per un'idea della donna come oggetto da usare per i propri bisogni o da controllare nelle sue scelte che sembra difficile da far sparire, e per esistenze che si svolgono quasi invisibili, senza mai trovare una via di uscita a un destino che appare ineluttabile e inevitabile. Lo stile asciutto e curato della regia appare perfetto per l'approccio scelto alla narrazione che valorizza la capacità di andare avanti nonostante tutto, lasciando a chi osserva gli eventi il compito di riflettere sui percorsi alternativi che si sarebbero potuti seguire, sui motivi che portano a volte a non reagire e a non denunciare quanto subito, e sul significato di coraggio e resilienza.

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