La quercia e i suoi abitanti, la recensione

La quercia e i suoi abitanti racconta un microcosmo naturale, a metà strada fra documentario e avventura sentimentale.

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La recensione di La quercia e i suoi abitanti, il nuovo film diretto da Michel Seydoux e Laurent Charbonnier, al cinema dal 25 gennaio

Cosa vive tra le radici e nel fogliame di una quercia? Quali animali la usano come riparo o si nutrono delle sue ghiande? A che rituali amorosi, battute di caccia, nascite e morti "assiste" un albero secolare? A queste e altre domande risponde La quercia e i suoi abitanti.

Un film che proviene da una tradizione cinematografica di lunga data, e che è destinato a piacere o irritare per gli stessi motivi dei suoi molti predecessori: non è un documentario, ma trae forza dal fotorealismo di un impianto visivo che fonde riprese dal vero e sofisticati effetti digitali, ottenendo un'impressione di "cinema-veritè" naturalistico; gli animali che raffigura sono in gran parte veri, ma il modo in cui si comportano somiglia a tratti a una stilizzazione narrativa da documentario generalista, a tratti a un'antropomorfizzazione che può ricordare la prima Disney (quella degli idilli naturali di Bambi e Fantasia).

Nulla di nuovo. Il cinema francese ha da decenni un rapporto particolarissimo con la raffigurazione della natura. Un amore che inizia almeno coi pionieristici documentari oceanografici di Jacques-Yves Cousteau. E che a partire dagli anni Ottanta si cristallizza in una serie di film narrativi, spesso di grande successo commerciale, che in vario modo mettono in scena l'animale ripreso "dal vero". A volte ci sono anche protagonisti umani, a volte questi sono marginali, a volte non ci sono affatto. Il tono può variare ma mischia sempre elementi semi-documentaristici, sentimentalismo, ecologismo e antropomorfizzazione. Jean-Jacques Annaud ne fece una formula di grande respiro hollywoodiano, capitalizzando il fascino esercitato dall'animale in film-mondo esotici come L'orso (1988), Due fratelli (2002) e L'ultimo lupo (2015). Ma la lista sarebbe lunghissima, da La marcia dei pinguini (2005) alla saga di Belle & Sebastien, fino al più recente Mia e il leone bianco (2018).

Da una parte questo consente di mettere in prospettiva (e quindi ridimensionare un po') i meriti strettamente tecnici di un film come La quercia e i suoi abitanti. Non che il tour de force visivo di Michel Seydoux e Laurent Charbonnier (quest'ultimo veterano del documentario naturalistico) sia per questo meno impressionante. Ma è di certo meno "originale" di quanto certa critica voglia far credere, soprattutto considerando che gli stessi identici elogi venivano già mossi al film di Annaud quasi quarant'anni fa, quando ci fu addirittura una campagna per candidare l'orso attore Bart all'Oscar.

Rispetto al gigantismo di quel cinema lo sguardo di La quercia è contemporaneamente più intimo e più radicale, portandone alle estreme conseguenze l'idea di un film totalmente a misura di animale (l'elemento umano è completamente assente). Ma non bisogna farsi ingannare: il campo da gioco è sempre lo stesso, quello di un'epica narrativa travestita da documentario, che vale più per il suo afflato poetico ed ecologista che non per il suo contenuto informativo. Se di documentario si deve parlare, il pensiero può andare ai capolavori di un regista come Flaherty, tanto "falsi" e intrisi di pregiudizi culturali quanto animati da uno stupefacente senso romantico e lirico del paesaggio, del movimento, della lotta umana e animale per la vita. Non siamo certo in quelle stratosfere, ma se se ne accetta la licenza poetica La quercia e i suoi abitanti contiene immagini di innegabile bellezza.

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