La Prima Notte Del Giudizio, la recensione
Incorente e indeciso sul tono da avere La Prima Notte Del Giudizio ha dei problemi produttivi che si riflettono sul film
Stavolta vediamo la storia di tutti quelli che solitamente nei film d’azione muoiono senza che gli sia data importanza, vista però dal loro punto di vista. Il loro tentativo di rimanere vivi nella prima notte del giudizio, cioè il prequel della saga in cui vediamo come il partito neo conservatore che si fa chiamare Nuovi Padri Fondatori, ha creato questa pratica. C’è una psicologa a guidare l’esperimento nella sola zona di Staten Island a New York, povera e marginale, e c’è la politica ad imporre che debba essere un successo anche se all’inizio sembra che nessuno voglia dedicarsi ad atti violenti. L’obiettivo che nei primi film era sottile qui è urlato: “Siamo troppi, dobbiamo eliminare i poveri per non doverli sostenere con il welfare”.
Ma anche il tono del film oscilla tra il classico inseguimento urbano della saga scritta da James DeMonaco a momenti in cui imita (e bene!) lo stile d’azione e arti marziali di The Raid (circa un paio di minuti sulle scale che fanno rimpiangere che non sia tutto così) ad altri ancora in cui con fare più pavido abusa di un pessimo sangue in computer grafica capace di dare a tutto un tono veramente da 4 soldi. Tono che invece molte altre parti del film non avrebbero. Ad esempio non lo hanno i notiziari che seguono in diretta l’esperimento della prima notte del giudizio, con il loro tono imparziale e blandamente preoccupato che proprio per il suo non essere apertamente di condanna suona terribilmente collaborazionista.