La petite, la recensione

Una storia di maternità surrogata in La petit viene condotta da un nonno per raccontare (anche) una madre in un film che vive di momenti

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di La petite, il film con Fabrice Luchini in sala dal 18 gennaio

Si può girare un film intero solo per un’occhiata finale? Forse no, però quando alla fine di La petite uno dei personaggi torna in scena, quando pensavamo non ci sarebbe più stato, per un rapido incontro casuale con il protagonista interpretato da Fabrice Luchini, e noi notiamo che non sta guardando appositamente qualcosa, salvo poi, occasionalmente buttarci un occhio rapido, c’è tutto il punto della storia e tutto il senso del fare un film così.

Per arrivare a quel momento occorrono però quasi due ore di una storia molto tradizionale, condotta con piacevolezza ma quasi nessun guizzo degno di nota. È quella di un padre a cui viene comunicata la morte del figlio che non sentiva molto. Al funerale scopre che lui e il suo compagno stavano cercando di avere un figlio a loro volta attraverso la maternità surrogata, che in Belgio è legale. L’esistenza di questa nipote, ancora nel grembo della madre surrogata, spinge l’uomo a cercarla. L’impresa non è facile e quando la troverà si scontrerà con una persona che aveva fatto tutto per soldi (anche se sarebbe illegale trarne un profitto) e ha più problemi che soluzioni.

A reggere tutta questa storia dovrebbe essere Luchini, uomo sia poco avvezzo alle imprese, che molto emotivo, indeciso ma poi anche determinato a trovare un’ultima possibile connessione con il figlio morto. C’è indubbiamente un tentativo di fare di questo personaggio l’essenza del film, cioè di usare l’azione come funzione della definizione del personaggio e non viceversa, eppure è come se La petite non fosse mai sufficientemente deciso per riuscirci Il tono tra dramma e commedia pende decisamente più sul versante del primo e l’ingresso di nuovi personaggi continua a rubare la scena a questo protagonista. Un buon finale con la scena citata in apertura e un “Dove?!” (in originale “Where?!” pronunciato con accento francese) detto da Luchini che contiene spinte ed emozioni opposte tra loro condensate in un'espressione sola, un tono di voce e una modulazione della parola da grandissimo attore, valgono comunque il prezzo del biglietto.

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