La persona peggiore del mondo, la recensione

Uno dei più coinvolgenti esempi di cinema dell'attrazione verso altri esseri umani, La persona peggiore del mondo converte e conquista

Critico e giornalista cinematografico


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La persona peggiore del mondo, la recensione

Ha senso un coming of age a trent’anni? È quello che capita a Julie lungo uno film dei film più romantici dei nostri tempi, che non ingabbia il romanticismo in schemi narrativi sempre uguali ma che raggiunge quell'equilibrio e sensazione tramite un ritratto femminile come non capitava di vedere da anni, uno molto concentrato sulla sua protagonista, che usa tutti gli eventi intorno a lei come magnifici pretesti, intrecci molto curati che servono solo a definirla in una divisione (pretestuosissima) in 12 capitoli. Ma non importa. Fin dall’inizio, da una prima inquadratura di profilo, Joachim Trier dimostra una capacità per inquadrare la protagonista (Renate Reinsve) e attivare la macchina dell’attrazione del nostro interesse che vale da sola il costo del biglietto. La persona peggiore del mondo riesce a raccontare un pezzo di una vita, vivendo di piccoli momenti liberatori e accendendo il desiderio di conoscere nuove persone anche nel più misantropo dei cuori.

Fin dall’inizio vediamo Julie, indecisa, iscriversi a facoltà diverse, cambiare strada, non trovare pace fino a che non entra una storia d’amore che la terrà occupata sufficientemente a lungo per consentirle il suo coming of age tardivo. Come nei filmetti di più rapido consumo anche qui la protagonista ha due poli di attrazione maschile: uno più stabile e “sicuro” e un altro più istintivo, foriero di mille promesse. Il primo è un fumettista più grande con cui ha un rapporto così solido da sconfinare nella noia; il secondo lo conosce ad una festa in una delle sequenze a più alto tasso di energia sessuale e desiderio dai tempi dell’attacco di Victoria.

Senza la passione per i corpi di Kechiche, ma nondimeno con una voglia di fare cinema tramite essi; senza la fantasia del cinema commerciale ma con più di una stoccata a sogni e desideri materializzati e su tutto una capacità di rendere leggera la materia più seria, La persona peggiore del mondo è forse il primo vero racconto femminile che dà l’impressione di essere inserito in un mondo in cui i rapporti tra sessi non sono più gli stessi. Senza mai esagerare in militanze ma con l’intenzione di ritrarre una nuova forma di femminilità, Joachim Trier affianca al classico lavoro di creazione della complessità tramite contrasti e momenti in cui il personaggio lotta per dimostrare di non essere solo un personaggio ma di aspirare al reame delle persone vere, c’è anche un mondo che viaggia tra sessismo e suo superamento, in cui esiste una forma di lotta disimpegnata ma presente per l’affermazione di equilibri differenti.

La produzione culturale, la maternità, il tradimento, il possesso e anche la ricerca di un lavoro e di una libertà personale, sono tutto quello che Julie giostra libera di essere la persona peggiore del mondo e guardando intorno a lei tutti contraddirsi senza mai provare astio.

Come nei film migliori infatti il punto è sempre quello: come guardiamo i personaggi e quel che accade intorno a loro. Ci sono momenti che altrove sarebbero stati di facile disprezzo o chiaramente mirati a dare un giudizio, invece attraverso i controcampi di Julie che guarda i suoi ex o i suoi fidanzati o ancora le persone intorno a lei, riusciamo a comprendere tutto e tutti nell’apoteosi di uno sguardo nuovo e diverso sugli altri (quello di una donna più conciliata con il suo ruolo in una società che, in linea di massima, lo accetta? Probabile) che è contagioso.
Un film che converte coscienze con grazia mentre conquista i cuori.

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