La passion de Dodin Bouffant (The Pot-au-Feu), la recensione

La passion de Dodin Bouffant è un film pieno di suoni, rumori, quadri, pensato come se fosse una sonata o un componimento pittorico. Quello che Anh Huang Tran vuole trasmettere è proprio la forma stessa del piacere, quella passione misteriosa che come il cibo riguarda gli amori più profondi.

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La recensione di La passion de Dodin Bouffant (The Pot-au-Feu) di Anh Hung Tran, presentato in concorso a Cannes 76

“Ci vogliono tempo e memoria per formare il gusto di una persona”, dice Monsieur Dodin Bouffant (Benoît Magimel) alla piccola e curiosa apprendista cuoca Pauline, che ha appena scoperto un nuovo sapore. Come questa massima ce ne sono tantissime in La passion de Dodin Bouffant (The Pot-au-Feu) di Anh Hung Tran - è proprio il modo in cui parla Dodin, un gourmet la cui passione per il cibo e l’arte culinaria è tanto grande quanto l’amore che prova per la sua cuoca Eugénie (Juliette Binoche). Dopo anni di proposte di matrimonio rifiutate, Dodin proverà a convincerla nel modo in cui sa comunicare meglio: non le sue pompose parole, i suoi aforismi, ma con una cena cucinata da lui.

Ambientato in una villa nella campagna francese del 1885, La passion de Dodin Bouffant è un film di un godimento estetico estremo, votato totalmente a trasmettere quel mondo sensoriale - ma anche intellettuale - che deriva dal contatto con il cibo. Che si tratti della gestualità di chi cucina, del rumore che fa il cibo quando viene maneggiato, assaporato, quello in cui viene pensato e adorato dai personaggi a parole e infine elevato a dono divino dalla luce dorata che lo illumina, La passion de Dodin Bouffant ama tutto ciò che ci mostra con un amore estremo e tangibile.

In questo tripudio sensoriale il discorso di Anh Huang Tran sembra però andare nella mera direzione estetica (forse un limite per chi da questo mondo non è in alcun modo affascinato) e lasciare indietro i suoi personaggi. Di fatto Eugénie, nel dolce sorriso di Juliette Binoche, viene elevata al ruolo di musa e di forza sensoriale tanto quanto il cibo, ma molto meno a quello di personaggio: sappiamo che è malata, che ha lavorato per 20 anni per Monsieur Dodin, che vuole la sua indipendenza (vuole poter tenere la porta di camera sua chiusa) ma abbiamo l’impressione di non riuscire a coglierla mai davvero nella sua umanità e complessità.

La passion de Dodin Bouffant è un film pieno di suoni, rumori, quadri, pensato come se fosse una sonata o un componimento pittorico. La luce che illumina ogni volto, ogni corpo e ogni cosa ci guida nella lettura di ciò che vediamo secondo un senso romantico, di estasi metafisica in progressione verso qualcosa di sempre più profondo, divino (ma in senso laico). Tutto ciò è riassunto perfettamente in una scena in cui Dodin, insieme ai suoi amici gourmet, vengono messi in scena, inquadrati e illuminati come la Vocazione di San Matteo di Caravaggio.

Quello che Anh Huang Tran ci vuole trasmettere è allora proprio la forma stessa del piacere, quel senso di passione misteriosa che come il cibo riguarda gli amori più profondi. Per quanto possa risultare un po’ frustrante ad alcuni l’aspetto narrativo (che comunque si chiude con un finale perfetto) quello di Huang Tran è un cinema che commuove perché si vota totalmente al presente filmico, è un cinema delle attrazioni che non usa trucchi ma lavora al millimetro su ogni aspetto tecnico - che sia il sonoro, la fotografia, il montaggio. E che meraviglia...

Siete d’accordo con la nostra recensione di La passion de Dodin Bouffant (The Pot-au-Feu)? Scrivetelo nei commenti!

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