La Parrucchiera, la recensione
Disegnato sul modello del cinema femminile europeo ma troppo enfatico e tecnicamente povero, La Parrucchiera crolla sotto il peso delle proprie ambizioni
Perché del modello originale La Parruchiera innanzitutto non ha l’equilibrio. La storia di una parrucchiera di Napoli che, in rotta con i proprietari del salone in cui lavora per le avances sconsiderate del di lei marito, decide di aprirsi il proprio salone concorrente con mille difficoltà economiche ma una determinazione non comune e l’aiuto delle altre donne intorno a lei, è un crogiolo di enfasi. C’è enfasi per tutti e su tutto, che è perfettamente in linea con le intenzioni e lo stile adottato ma se non è mai bilanciata da un equilibrio narrativo rimane solo una sottolineatura ad ogni scena. Non è difficile esagerare, difficile semmai è riuscirci senza strafare, mantenendo il bilanciamento necessario ad un film per reggersi. La Parrucchiera invece è un film pieno di effetti senza cause, pieno di intensità che spunta dal niente senza che sia stata costruita e quindi motivata.
Peccato che, anche trascurando la provinciale voglia di esagerare senza saper gestire gli eccessi, il film sia troppo spesso al di sotto di un livello accettabile. Affiancare attori di livello ad altri alle primissime armi non gli riesce sempre bene e a tratti la recitazione è eccessivamente amatoriale, ma anche il montaggio sorprende con alcuni stacchi così brutali che tirano lo spettatore fuori dal film interrompendo la fluidità del racconto come sabbia in un ingranaggio. Se a questo si aggiunge una trama che parte decisamente troppo tardi e anche quando parte non è propriamente il massimo, nonchè la grande riconciliazione femminile finale che ha il sapore di una chiusa strappapplausi da teatrino, il cerchio è completo.