La notte del giudizio, la recensione

Venduto come un horror, girato per essere un thriller ma intimamente concepito come un film di critica sociale su un vicino futuro distopico, è arrivato il film migliore dell'estate...

Critico e giornalista cinematografico


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La notte del giudizio crea un piccolo mondo e il mondo che crea è fatto a misura di critica al nostro.
Nella sua America del 2022 problemi di oggi come la crisi economica e il proliferare degli incidenti da armi da fuoco hanno trovato la medesima risoluzione: una notte in cui ogni crimine è consentito. Per 12 ore l'anno la polizia e gli ospedali chiudono e tutto è consentito, ogni genere di efferatezza.

Come risultato i ricchi si proteggono con sistemi di sicurezza avanzati, i poveri vengono malmenati e uccisi. Questo riduce il loro peso sociale e in pochi anni fa ripartire l'economia, funzionando inoltre come valvola di sfogo. L'America sta vivendo di nuovo nella prosperità con un'inedita calma, e si autodefinisce "nazione rinata" proprio grazie alla notte del giudizia, usando la retorica che la caratterizza.
 

In questo contesto, durante l'annuale notte del giudizio, seguiamo quel che succede ad uno degli addetti ai sistemi di sicurezza e alla sua famiglia, un uomo che crede nel valore di quest'atto brutale e nella sua utilità tanto da farne un lavoro, mentre i figli sono più scettici visto che non possono ricordare come fosse il paese prima. Ovviamente tutto sarà incrinato da fatti tragici che esporrano le contraddizioni del sistema.

Ma non è molto importante l'intreccio in La notte del giudizio, la dinamica per la quale la famiglia finisce assediata nella propria casa nel solo tentativo di salvarsi è l'elemento di genere, la necessaria tassa per raccontare un contesto. Attingendo a diverse mitologie distopiche (la violenza pulita e borghese di Funny Games, la retorica della rinascita americana di Bioshock Infinite, la violenza istituzionalizzata da Hunger games) James DeMonaco, scrive e dirige un film che riesce a farne una sintesi nuova e differente, piena di significato e particolarmente gretta.

Il pregio maggiore di La notte del giudizio è come si intuisce il veleno dell'autore, la sete di giustizia da ottenere a mezzo cinema.

Nella sua costruzione non eccessivamente raffinata (molte parti sono tagliate con l'accetta) si avvertono sia echi del passato remoto, come l'idea eugenetica di fondo dell'eliminazione degli inabili, al pari di quelli della modernità, come la ferma volontà di non vivere una crisi economica e di guadagnarsi la salvezza attraverso il denaro.

La notte del giudizio però non brilla per inventiva e suspense, anzi si tiene su terreni usuali e non cerca il proprio senso attraverso l'uso degli elementi tipici del genere (le maschere per gli invasori gridano pigrizia), perchè tutte le sue energie sono profuse nello sforzo di rendere umano l'inumano. Come risultato la ricostruzione di un'America distopica in mano "ai risultati", poco importa come siano raggiunti, è molto efficace.

I telegiornali, le pubblicità, la propaganda, le frasi ripetute e il lento emergere nei protagonisti del senso del giusto, sopito dal conformismo indotto dal benessere parlano molto più delle scene madri. Le piccole esitazioni di Lena Headey soffocate dall'abitudine a non discutere la volontà di massa e poi la vergogna, di fronte alla quale non si distoglie la macchina da presa, e la perseveranza con cui DeMonaco mette i carnefici a tavola con le vittime nel silenzio hanno il sapore dell'espiazione.

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