La notte del 12, la recensione

La notte del 12 è un crime che nonostante alcune pecche strutturali riesce ha un'ispirazione filosofica che lo rende affascinante e profondo in modo imprevisto.

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La recensione di La notte del 12, al cinema dal 29 settembre

Come il precedente film di Dominik Moll Only the Animals, anche La notte del 12 è un crime che nonostante alcune pecche strutturali riesce ad avere una sfumatura di fondo, o meglio un’ispirazione filosofica, che lo rende affascinante e profondo in modo imprevisto. Se nel precedente film questa qualità si manifestava nell’essere un puzzle di personaggi legati tra loro da un divertente misticismo, in La notte del 12 (anche questo adattato da un libro) il tocco “alla Moll” è l’amarezza esistenziale che caratterizza non solo il caso criminale in questione ma lo stesso personaggio protagonista.

Quest’ultimo è infatti nell’economia narrativa una mera pedina, quasi privo di profondità psicolgica: tuttavia la sua tacita angoscia per l’essere un uomo in un ambiente di uomini diventa la metafora di come il maschilismo sia molto di più di una parola brutta o un atteggiamento violento. È una condizione sociale, un sistema di pensiero con radici profondissime.

La trama, di fatto, non ha niente di originale. Siamo in un piccolo paesino montano francese, di quelli dove sembra non succedere mai nulla: proprio lì una ragazza mentre rientra a casa di notte viene brutalmente bruciata viva da un uomo mascherato. Il caso viene affidato al neo capo della polizia giudiziaria Yohan (Bastien Bouillon), che oltre a dover gestire la sua prima indagine con tutte le responsabilità su di sé deve anche relazionarsi con le quotidiane dinamiche da ufficio che pur sembrando irrilevanti ne influenzano il metodo di lavoro, tra stampanti rotte, straordinari non pagati e i lamentii dei colleghi sulla loro vita privata. Tutti, non a caso, poliziotti uomini.

Diciamo non a caso perché nella dinamica di trama di La notte del 12 questo dettaglio, che nella prima parte passa inosservato, diventerà determinante. In un lento e progressivo svolgersi delle indagini di Yohan questo caso di femminicidio diventerà infatti una questione filosoficamente molto più grande: un caso irrisolto (come dice il primo cartello del film) che nella sua insensatezza razionale diventa un campo di prova attraverso cui questi uomini misurano i loro diversi gradi di sensibilità o inquietante indifferenza.

"Tutti gli uomini hanno ucciso Clara", "C'è qualcosa che non va fra uomini e donne": ecco, forse solo queste frasi, nel modo in cui vengono pronunciate dal protagonista (una dopo l'altra) affossano l'eleganza del film, che parimenti stava riuscendo a far passare questo messaggio senza dirlo a chiare lettere.

Ad ogni modo, Yohan nel suo essere perso in un mondo che sembra privo di qualsiasi ordine o giustizia è certamente un perfetto personaggio del cinema di Moll. Piccolo e privo di agentività, continua a sbattere la testa in cerca di dettagli che continuano a depistarlo. Perché lui stesso si rifiuta di accettare il caos, e infatti per sfogarsi non fa che girare in tondo con la sua bici nel velodromo come un criceto sulla ruota.

Se l’impermeabilità caratteriale di Yohan alla lunga risulta quasi frustrante, allergico com’è a farsi leggere e comprendere - ché di solito in un crime il caso rivela sempre qualcosa del suo investigatore - alla fine l’idea di Moll passa lo stesso: l’idea che nonostante tutte le buone intenzioni del mondo il contesto (maschilista, violento, o cinicamente lassista) è sempre più grande del singolo. Però vale comunque la pena provare ad affrontarlo.

Siete d’accordo con la nostra recensione di La notte del 12? Scrivetelo nei commenti!

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