La Notte dei 12 Anni, la recensione
Accurato, preciso e folle nella sua ambizione, La Notte dei 12 Anni vuole raccontare il tempo che passa in sole due ore
I 12 anni del titolo sono quelli di prigionia dei 3 personaggi della storia, scelti (non a caso, lo scopriremo alla fine) per rappresentare i Tupamaros e tutti i rivoluzionari oppressi dai regimi. La loro condanna fu ad un carcere inumano e durissimo, non fatto di botte e violenze ma più che altro di silenzi, isolamento e mancanza di umanità. Tutte dinamiche complicatissime da rappresentare. Tanto è facile mettere in scena la violenza inferta e subita così che susciti immedesimazione e indignazione nel pubblico, quanto è difficile spiegare l’inferno, non meno atroce, di 12 anni di carcere senza diritti e senza parlare, senza vedere il sole.
Non c’è vera ed effettiva tortura eppure La Notte dei 12 Anni funziona come un torture porn, perché tortura lo spettatore (in senso buono), lo mette seduto e cerca di portarlo in quel mondo infernale, cerca di mettere in scena lo scorrere alle volte anche solo dei minuti e delle ore interminabili. Di fatto non lo annoia giocando al rialzo con il suo stupore: quanto silenzio, quanto isolamente un uomo può davvero sopportare? Quanto può tollerare la mancanza di speranza e l’idea di una vita intera di niente?
Tramite l’agonia delle visite familiari ci rendiamo conto degli anni passati, mentre nelle scene di galera il tempo pare fermo in un costante presente interminabile nel quale giorno e notte sono identici.
Per questo, oltre ad una sceneggiatura creativa e ad un messa in scena mai noiosa, va dato credito ai tre attori che non recitano mai la noia, non fanno mai due movimenti alla stessa maniera né due espressioni uguali, ma riempiono la loro performance di varietà per non annoiare pur raccontando l’abisso del vuoto. Tutto è fermo fuori ma dentro di loro è un continuo muoversi, mutare, tenere duro.