La Notte dei 12 Anni, la recensione

Accurato, preciso e folle nella sua ambizione, La Notte dei 12 Anni vuole raccontare il tempo che passa in sole due ore

Critico e giornalista cinematografico


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La Notte dei 12 Anni fa quello che raramente i film fanno: si pone il problema di come rappresentare la propria storia.

I 12 anni del titolo sono quelli di prigionia dei 3 personaggi della storia, scelti (non a caso, lo scopriremo alla fine) per rappresentare i Tupamaros e tutti i rivoluzionari oppressi dai regimi. La loro condanna fu ad un carcere inumano e durissimo, non fatto di botte e violenze ma più che altro di silenzi, isolamento e mancanza di umanità. Tutte dinamiche complicatissime da rappresentare. Tanto è facile mettere in scena la violenza inferta e subita così che susciti immedesimazione e indignazione nel pubblico, quanto è difficile spiegare l’inferno, non meno atroce, di 12 anni di carcere senza diritti e senza parlare, senza vedere il sole.

Alvaro Brechner si scrive da solo il film e tra sceneggiatura e messa in scena tenta di rappresentare il passare del tempo. Non senza un gran contributo del trio di attori (Antonio de la Torre, Chino Darin e Alfonso Tort), il film cerca l’impossibile traguardo di raccontare la noia e l’oppressione del tempo che lavora contro la sanità mentale, e la mente che lavora contro il tempo per resistere, ferma, sana, in silenzio, in un film che non risulti noioso. Lo fa scappando come può nei flashback, insistendo su didascalie che segnino lo scorrere del tempo contandolo in giorni e non in anni, lo fa intrattenendo e stupendo con il mutamento del corpo, che invece di invecchiare marcisce in quelle carceri vuote (le mani si logorano, i denti si spaccano, i capelli diventano paglia), e lo fa con i lievi scampoli di umanità che paiono gocce in un mare.

Non c’è vera ed effettiva tortura eppure La Notte dei 12 Anni funziona come un torture porn, perché tortura lo spettatore (in senso buono), lo mette seduto e cerca di portarlo in quel mondo infernale, cerca di mettere in scena lo scorrere alle volte anche solo dei minuti e delle ore interminabili. Di fatto non lo annoia giocando al rialzo con il suo stupore: quanto silenzio, quanto isolamente un uomo può davvero sopportare? Quanto può tollerare la mancanza di speranza e l’idea di una vita intera di niente?
Tramite l’agonia delle visite familiari ci rendiamo conto degli anni passati, mentre nelle scene di galera il tempo pare fermo in un costante presente interminabile nel quale giorno e notte sono identici.

Per questo, oltre ad una sceneggiatura creativa e ad un messa in scena mai noiosa, va dato credito ai tre attori che non recitano mai la noia, non fanno mai due movimenti alla stessa maniera né due espressioni uguali, ma riempiono la loro performance di varietà per non annoiare pur raccontando l’abisso del vuoto. Tutto è fermo fuori ma dentro di loro è un continuo muoversi, mutare, tenere duro.

La Notte dei 12 Anni è cinema politico che vuole mostrare la mostruosità della dittatura ma sembra davvero una grande scusa per un esperimento da Linklater: il paradosso di usare 122 minuti per far passare 12 anni.

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