La memoria dell'assassino, la recensione

Ci sono i killer in La memoria dell'assassino, ma è solo l'intreccio, il film è una grande contemplazione dell'idealizzione dell'essere uomini

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di La memoria dell'assassino, il secondo film diretto e interpretato da Micheal Keaton, nei cinema dal 4 luglio.

Fossero così tutti i film conservatori! La memoria dell’assassino non nasconde mai il suo punto di vista sulle persone e sul mondo: è un film di uomini che fanno gli uomini, con la schiena dritta, il fermo valore dell’amicizia e della parola data ma senza tutta la parte tossica (anzi). È un film i cui protagonisti sono criminali onorevoli che uccidono chi se lo merita, e in cui le donne sono guardate con amore e distanza, come esseri fallibili con cui avere a che fare e da trattare bene. È la storia di un uomo che per buona parte della sua vita è stato un killer per la malavita e che ora, anziano, a causa di una malattia degenerativa molto rapida, in poche settimane perderà coscienza e ricordi. Proprio ora che il figlio ha bisogno di lui: ha commesso una stupidaggine che gli può costare carissima e quindi qualcuno di esperto, con i nervi saldi e l’esperienza giusta, lo deve aiutare.

Knox lotta contro il tempo e contro sé stesso, aiutato dal boss che è anche amico (un perfetto Al Pacino, grottesco ma affidabile), in un mondo in cui contano davvero solo gli imperativi morali, quelli aderendo ai quali si può dire di essere uomini nel senso pieno del termine. Non c'è da farsi ingannare: il mondo criminale è solo un pretesto, questo non è un film di polizia e gangster, ma uno in cui un uomo tira le somme della sua vita. L’intreccio ad alto rischio serve a dare tensione, quello che conta sono le rese dei conti con le persone vicine, chi sta dalla parte del protagonista e chi lo tradisce per interesse, di chi ci si può fidare e chi no, e che decisioni vanno prese per fare le cose per bene.

Alla base di tutto c'è una grande scrittura di Gregory Poirier, che Michael Keaton alla seconda regia asseconda benissimo. La memoria dell’assassino ha valori produttivi molto limitati e una confezione che grida povertà, ma Keaton mostra mano fermissima nel dirigere, cerca e trova il tono de Il colpo di Mamet (anche se quella perfezione è lontana). In questo si perde un po’ la sua interpretazione, che è meno incisiva del solito, ma il film non sembra averne bisogno, questo è il più classico dei canti di un mondo al tramonto (il titolo originale Knox Goes Away parla sia della scomparsa della sua presenza mentale che del suo ritiro da un mondo che non gli somiglia più). Non importa se sia mai esistito davvero, importa cosa scatena negli spettatori.

La memoria dell’assassino è quindi un eccezionale manifesto non tanto di una visione del mondo, ma dell’idealizzazione di un mondo: quello degli uomini di una volta, come vengono solitamente intesi (ammesso e non concesso che siano mai esistiti), in cui far brillare una versione tutta d’un pezzo del concetto di umanità, in modo da enfatizzare il lato romantico e perduto del disincanto. Nessuno in questo film sembra credere nemmeno per un momento che le cose potranno risolversi, ma nondimeno sanno che essere onesti con sé stessi e quindi provarci è molto, ma molto più importante di cose triviali come sopravvivere o non finire in galera.

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