La mappa delle piccole cose perfette, la recensione

La mappa delle piccole cose perfette è una piccola perla del sentimentale che riesce a raccontare in modo convincente e leggero la paura del cambiamento, del futuro, dell’ignoto, senza mai scadere in superflue smancerie o in una retorica smaccatamente ottimista

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Ci risiamo: siamo di nuovo bloccati in un loop temporale cinematografico. No, non si tratta di Palm Springs, la commedia indie americana che recentemente ha divertito e convinto la critica e il pubblico ridando nuova linfa al genere metafisico, ma di La mappa delle piccole cose perfette. Diretto da Ian Samuels e scritto da Lev Grossman (che è anche autore del libro da cui il film è tratto), La mappa delle piccole cose perfette è però anch’esso una piccola perla del sentimentale che riesce a raccontare in modo convincente e leggero la paura del cambiamento, del futuro, dell’ignoto, senza mai scadere in superflue smancerie o in una retorica smaccatamente ottimista.

Come in Palm Springs abbiamo per protagonisti un ragazzo e una ragazza costretti a rivivere lo stesso giorno all’infinito: due vittime di un'inspiegabile distorsione temporale che non hanno idea di come uscirne, ma che proprio grazie a quella sfortuna scopriranno qualcosa di nuovo e di profondo su sé stessi: in questo caso, il fatto che nonostante la vita non sia perfetta vale comunque la pena di essere vissuta. Qui, diversamente dal precedente, abbiamo però una conflittualità molto meno netta dei personaggi e un andamento della storia tutt’altro che scanzonato e pazzoide. Il protagonista Mark (Kyle Allen) è infatti un liceale dal viso pulito che sogna di andare alla Scuola d’arte e che vive piuttosto serenamente la sua condizione di eterno ritorno; Margaret (Kathryn Newton) invece ha un problema molto più grave che la trattiene nel presente e che scopriremo solo alla fine, ma i due ragazzi instaurano quasi subito un rapporto di amicizia profondo e sereno. Un rapporto che ci porta a scoprire assieme a loro tutti quei momenti perfetti che costellano quella strana giornata. Sarà forse quella la chiave per sbloccare il futuro?

Tra colori pastello, chitarre indie e una regia che si muove con leggerezza e vivacità, il regista Ian Samuels ci pone nella perfetta condizione per empatizzare con i due protagonisti, per metterci al loro livello di sguardo, facendoci vedere quel mondo im-perfetto in un modo... perfetto. La sensazione è strana, quel mondo surreale non ha nulla di ostile o grottescamente angosciante come quello di Palm Springs, ma il tutto funziona incredibilmente. Il mondo non è una trappola, qualcosa da combattere, ma qualcosa da osservare e da amare, un groviglio di eventi meravigliosi che si riflette perfettamente nei due sguardi freschi e sognanti dei due giovani attori, qui interpreti perfetti di quel preciso mood.

In La mappa delle piccole cose perfette l'equilibrio narrativo viene raggiunto e tira avanti la storia pur non avendo una struttura o una motivazione dei personaggi forte come quella del film di Max Barbakow. Anzi, a volte durante la visione di La mappa delle piccole cose perfette ci si chiede proprio come faccia il film a non perdersi nei suoi stessi estetismi romanticheggianti. Eppure, riesce a far sorridere senza nauseare per la sua dolcezza. Ecco allora che il semplice osservare la natura, un gesto altruista o una piccola meraviglia del quotidiano acquisiscono una dimensione fantastica, evocativa. Quasi commovente.

La mappa delle piccole cose perfette è un film in cui chiunque può ritrovare qualcosa del suo vissuto  ma che chiaramente piacerà soprattutto al pubblico dei ragazzi più giovani, che in questo film potranno forse ritrovare una serenità, un riparo dai problemi di quell’età che è come una boccata d’aria fresca.

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