La macchina delle immagini di Alfredo C., la recensione
Un'opera filologica diventa un documentario pieno di velleità che usa un ritrovamento per costruire un castello di riflessioni alla buona
C’è un ritrovamento al centro di La macchina delle immagini di Alfredo C., ovvero l’archivio di Alfredo C., operatore cinematografico nell’Italia fascista, trasferitosi in Albania e poi rimasto lì quando l’8 settembre del ‘43 le alleanze della seconda guerra mondiale cambiano tutto. In Albania Alfredo vive e filma a lungo. L’archivio è quindi composto di quel che aveva girato in Italia e quel che aveva girato in Albania. È un’operazione di filologia seria e importante quella quindi che sta alla base del documentario, una documentazione prima sconosciuta e ora disponibile. Roland Sejko non ne fa però un documentario didattico o illustrativo, quanto uno meditativo.
Come sia possibile pensare un uso poetico ed intellettuale al tempo stesso del materiale di repertorio dopo che Pietro Marcello ha mostrato i suoi film? Come è possibile ancora credere che un testo di ampie pretese e rituali concetti cinefili sul guardare e riprendere, testimoniare e imprimere su pellicola possano dar senso alle immagini da sole?
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