La lingua del diavolo, la recensione
Abbiamo recensito per voi La lingua del diavolo, graphic novel di Andrea Ferraris edita da Oblomov
Alcuni tipi di storie generalmente riconosciute come "ben riuscite" hanno in comune un meccanismo narrativo che troppo spesso passa inosservato: l'utilizzo di una vicenda personale per raccontare qualcosa di universale, mascherando in modo più o meno velato i diversi livelli di lettura dell'opera. Non è facile incrociare due o più racconti in modo efficace e naturale, perché sovente la trama proposta va a concentrarsi su un aspetto principale tra i tanti, lasciando in secondo piano gli altri contenuti, rendendoli un corollario piuttosto che una parte pulsante del progetto.
Due fratelli pescatori, che vivono giorno per giorno accontentandosi di espedienti, assistono increduli alla nascita di un'isola. Il nuovo lembo di terra attirerà immediatamente diverse attenzioni colonialiste e sarà successivamente conteso tra alcune nazioni, tutte pronte ad accaparrarsi il nuovo bene naturale.
Salvatore e Vincenzo, questi i nomi dei due personaggi che portano avanti la storia, sono lo specchio di due modi di vedere il mondo molto distanti tra loro; posti davanti allo stesso incubo (diventare orfani e non avere alcuna eredità per tirare avanti) reagiscono in maniera diversa: il primo concentrandosi sul lavoro, sulla terra e sul mare, ovvero ciò che in generale può essere plasmato con le proprie mani per garantirgli un sostentamento; il secondo, più idealista e con lo sguardo che supera l'orizzonte, sogna persone e luoghi che dovrebbero essere - almeno idealmente - fuori dalla sua portata, immaginando un futuro diametralmente opposto rispetto a quello auspicato dal fratello maggiore.
Con il procedere della storia, il punto di vista si farà sempre più stretto su Salvatore, il quale vivrà sulla propria pelle un turbinio di emozioni molto intense, qualcosa di difficilmente digeribile per una mente semplice come la sua; mentre gli altri personaggi gli ruotano attorno con fare giudicante, il protagonista farà sempre più fatica a contenere quel dissidio interiore che lo fa altalenare tra la volontà del sentirsi parte di quella condizione comunitaria che tanto vorrebbe fare sua e lo spirito di rivalsa che supera i limiti della cultura e della classe sociale.
Ferraris è un fumettista esperto, e in quanto tale sa che l'affezione per un personaggio deriva da quanti problemi dovrà affrontare per raggiungere il proprio obiettivo (senza alcuna certezza di riuscirci). Ogni nuovo evento è una bordata per il cuore e la mente di Salvatore; a causa di ciò è molto difficile per il lettore non provare empatia verso la sua forza di volontà e la sua convinzione nei propri mezzi, nonostante i modi non proprio delicati.
Il tratto si adatta perfettamente ai contesti raccontati: grasso e molto sporco quando si parla di povertà e più raffinato quando il punto di vista si sposta su una diversa categoria di individui. È una linea che restituisce efficacemente il sapore della terra e del mare, di quel fuoco generato dalle onde che crea una nuova possibilità di vita per il primo che avrà il coraggio di attraversarlo.
In un mondo che corre a velocità forsennata verso una nuova era "moderna", davvero è possibile armarsi delle proprie ragioni ed ergersi ciecamente a bastian contrario in ogni occasione? La lingua del diavolo propone una risposta emotiva a questo interrogativo, di pancia più che di testa, che coinvolge dalla prima all'ultima tavola. Non c'è predestinazione e non c'è nemmeno un destino avverso: solo uomini forgiati dal duro lavoro e altri al servizio della burocrazia, obiettivi comuni e strade impervie da percorrere per raggiungerli.
Il risultato finale è una storia che, a qualsiasi livello di lettura la si voglia fruire, offre al lettore un'esperienza appassionante, lontana nel tempo ma vicina nell'empatia tra esseri umani.