La ligne - La linea invisibile, la recensione

Studio freddo tanto quanto lo sono i suoi personaggi e le loro relazioni, La ligne ha la forza e i limiti di un teorema sociologico

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La nostra recensione di La Ligne - La linea invisibile, dal 19 gennaio al cinema

Fa freddo nel paesino montano svizzero dove vivono i protagonisti di La ligne. Siamo in pieno inverno, la neve è abbondante, ma l'atmosfera gelida riguarda anche i personaggi, le loro relazioni, una società intera. Le istituzioni sono un'entità lontana, compaiono fisicamente nella prima scena e poi non si fanno più vedere, i vicini sono astiosi. Anche la stessa famiglia al centro delle vicende è anomala, animata da dinamiche malsane. Sono queste le direttrice della regista Ursula Meier, già presenti nel suo precedente lavoro, Sister, del quale ritorna anche l'approccio da teorema sociologico.

Durante un litigio, la trentenne Margaret colpisce violentemente la madre Christina, causandole la perdita parziale dell'udito. Per questo, le viene imposto di rimanere ad almeno 100 metri dall'abitazione del genitore per tre mesi. Il legame con la sorella più piccola Marion porta però Margaret a restare sempre al limitare di questa linea (tutt'altro che invisibile) in un costante tentativo di avvicinamento.

Meier mette in scena un secco studio di personaggi e di un ecosistema, guardati a distanza come animali in laboratorio, evitando qualsiasi spinta melodrammatica. Evidente però dove punti l'asse della sua attenzione. Esclusa la prima scena (lo scontro con la madre), di Margaret vediamo non la violenza che impone agli altri ma quella che impone a se stessa, i segni delle ferite sul suo corpo. Seppur manca una spiegazione sul come è perché sia nato il suo rapporto conflittuale con il genitore, è facile intuirne le ragioni. Quella che ci viene presentata come la parte lesiva si rivela una vittima, capace allo stesso tempo di creare una relazione sana con la sorellina.

Al contrario, quella che in apparenza dovrebbe essere la parte lesa, la madre, appare fin da subito come la carnefice. Passa da una relazione all'altra con uomini sempre più giovani di lei e accusa i figli di averle impedito di diventare una grande cantante, portandoli con sé nella sua voragine nevrotica. I suoi atteggiamenti sopra le righe sono sempre ritratti con quello sguardo disgustato e inerte di chi le sta accanto. Nel portarla sullo schermo, la scelta di Valeria Bruni Tedeschi si rivela azzeccata, per come l'attrice gioca in modo efficace sulla precarietà verbale e fisica, su un continuo spaesamento. Il nucleo famigliare con lei al centro è dunque covo di odi malcelati, di situazioni paradossali, dove neppure il Natale è momento sereno. Un orizzonte chiaro, che però presto mostra anche il suo limite.

Nel suo schematismo di fondo, nella sua rigidità di struttura e contenuto, La ligne è un film in cui è difficile veramente entrare, che rimane sospeso e si prolunga sempre nelle stesse coordinate. Una volta infatti impostati i caratteri e le dinamiche del gioco, manca infatti una svolta, un cambiamento di prospettiva, che possa veramente mettere in discussione il nostro punto di vista o portarci a una riflessione. Solo nel finale arriva una parziale apertura che però, complice l'arrivo dei titoli di coda, rimane completamente irrisolta.

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