La Kryptonite nella borsa – la recensione

Luca Zinagaretti e Valeria Golino guidano il cast di una simpaticissima commedia che non sembra italiana: La Kryptonite nella borsa...

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Quando un film italiano accompagna i titoli di coda sul ritmo di una These Boots Are Made for Walkin’ rifatta dai Planet Funk e, poco prima, durante i suoi 98 minuti di pellicola, ha utilizzato pezzi come Lust for Life (cantata da Iggy Pop) e Life on Mars di David Bowie, significa che non è il solito film italiano.

Se è vero che l’utilizzo di alcune canzoni come colonna sonora spesso pesa sul budget di una media produzione italiana come e più del salario di un attore, è indubbio che per La Kryptonite nella borsa si sono volute fare le cose per bene e che la fiducia nel regista e sceneggiatore (nonché autore dell’omonimo libro da cui è tratto il film) Ivan Cotroneo è alta.

Il risultato per fortuna conferma che è stata ben riposta. Certo, non parliamo di un capolavoro né di una commedia capace di entrare nel novero delle migliori dell’ultimo decennio come, ad esempio, si potrebbe dire di Santa Maradona e del primo Notte prima degli esami, ma comunque di un bel prodotto, scritto, interpretato e confezionato con cura per i dettagli e voglia di allontanarsi dai soliti cliché narrativi italiani. Un scena come quella sulle femministe (che da attiviste, una volta spente le luci, si rivelano anche amanti dei rispettivi corpi) o il coinvolgente ballo sulle note di Zorba il greco sono momenti di cinema che poche volte vediamo girati “in italiano”.

Cotroneo si permette anche dei rischiosi inserti onirici, ma lo fa bene, rappresentando i sogni con il tocco lieve di chi fa finta di parlare ai bambini per rivolgersi in realtà ai genitori. Non banalizza nessuna situazione narrativa e dà a ogni personaggio, anche quando apparentemente macchietta (come i due simpatici zii interpretati con brio da Cristiana Capotondi e Libero De Rienzo), la possibilità di definirsi per bene e di dare il proprio apporto alla credibilità non tanto della vicenda, ma dei sentimenti che vi si ritraggono. E se è vero che anche qui, seppur latamente, si parla come al solito di corna “borghesi” (o quasi, di certo non con problemi economici), bisogna comunque dire che il vero protagonista del film però è il piccolo Peppino. Tutto ciò che gli accade intorno fa parte dell’ambiente in cui si deve inquadrare il suo percorso di crescita, da bambino emarginato a ragazzo fiero di sé stesso e delle proprie particolarità (all’inizio è il classico occhialuto preso di mira dai compagni di classe bulletti).

La Napoli del 1973 che fa da sfondo alla storia completa, anche solo con i suoni delle voci o i colori del proprio territorio (sia urbano che costiero) ha la vitalità di un puzzle allegro e ironico che vale la pena godersi al cinema.

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