La guerra di domani, la recensione
A metà tra cinema americano e cinese La guerra di domani è sciocco e consapevole della sua sciocchezza. Quindi godibilissimo
Sciocco ma dai sentimenti cristallini, La guerra di domani è classico e contemporaneo al tempo stesso. È l’esaltazione di un individuo (e di una famiglia) che vuole salvare tutto il mondo ma è anche un film con più di un protagonista; è una storia in cui come sempre nel cinema americano è l’impeto ardimentoso di uno e della sua famiglia a risolvere tutto, ma anche una storia sentimentalissima, in cui l’ingenuità delle emozioni messe sullo schermo (l’amore per una figlia, il rapporto sincero ma duro con un padre difficile) è simile a quella del cinema asiatico. È pieno di militari e procedure statunitensi ma ha anche i mostri in CG che non possono mancare nel cinema asiatico. Infine è un film in 4 atti, la struttura tipica del cinema cinese a cui Hollywood con calma si sta (e ci sta) abituando.
Quando La guerra di domani sarà arrivato al suo culmine d’azione, alla cima del sentimento e del completamento della missione, mancheranno ancora 45 minuti alla fine. La fine del terzo atto (equilibrio, rottura dell’equilibrio e risoluzione finale) non sarà infatti la fine della storia, come siamo abituati, ma la chiusura di una situazione che apre ad un’altra, quella in cui davvero la storia può arrivare al termine.
Insomma La guerra di domani non pretende di appassionare ma riesce a divertire con le armi più semplici ed eterne, un padre barbuto interpretato con durezza da J.K. Simmons, un eroe scanzonato, i salvataggi all’ultimo momento da un terribile nemico senza personalità e l’ostensione dello spirito americano perché lo si possa vedere fino anche in Cina.
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