La guerra del Tiburtino III, la recensione
Cercando una cornice diversa dal solito per fare il solito film La guerra del Tiburtino III sembra non sapere come si fa cinema avventuroso
La recensione di La guerra del Tiburtino III, il film in uscita il 2 novembre in sala
I protagonisti sono due ragazzi. Lui è del Tiburtino III, ha un padre inutile che è il primo dei contagiati nonché capo degli alieni e una madre estetista a domicilio. Lei è il suo opposto, una fashion blogger, la più nota e importante, che finisce al Tiburtino III perché ritiene che quegli strani eventi possano andare in trend e quindi una sua partecipazione gioverebbe ai suoi canali. Loro due saranno gli unici a capire cosa succede e con un gruppo di amici tentare di salvare il quartiere e quindi il mondo.
A La guerra del Tiburtino III in realtà interessa molto di più il contesto, come sempre per il cinema italiano, e usa i personaggi come macchiette finalizzate a una presa in giro, vuole fare satira. Non a caso la trama ha come finalità bloccarli lì, in quel posto, così da poter sfruttare molte location diverse, quasi sempre in esterni. Quella di una centralità dell’architettura del quartiere era anche una delle idee di Attack The Block (forse il referente straniero più diretto anche se rimane molto diverso, molto molto diverso) ma non si può scrivere un film di questo tipo con così poca cura (che fine fa l’idea che gli alieni spargono idee di destra?), così poca capacità di girare scene d’azione (o pseudo-tali) e così poca passione per l’avventura o anche solo conoscenza di cosa conta in un film avventuroso o di pseudo-fantascienza. E soprattutto non lo si può riempire così tanto di musiche così generiche e stucchevoli (composte dallo stesso Emiliano Rubbi) e andarne anche così fieri da ostentarle in ogni transizione tra scene.