La guerra del Tiburtino III, la recensione

Cercando una cornice diversa dal solito per fare il solito film La guerra del Tiburtino III sembra non sapere come si fa cinema avventuroso

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di La guerra del Tiburtino III, il film in uscita il 2 novembre in sala

Sono arrivati gli alieni nel Tiburtino III, quartiere popolare di Roma, sono dei baccelli viscidi da cui escono dei vermi che entrano nel naso delle persone per prenderne possesso. L’obiettivo è la conquista del mondo. A partire dal Tiburtino III. È chiaro che solo un tono da commedia può dare un senso a una simile trama, così volutamente piegata su tutti gli stereotipi del genere, resi curiosi da un’ambientazione inusuale. E un tono da commedia è quello scelto da La guerra del Tiburtino III, eppure anche un tono da commedia va lavorato, calibrato e soprattutto scritto a dovere per non sconfinare comunque nel ridicolo. Luna Gualano (che scrive e dirige) ed Emiliano Rubbi (che scrive) invece non lo dosano bene, hanno molto a cuore l’ambientazione e meno la coerenza della storia. Anche se è una commedia.

I protagonisti sono due ragazzi. Lui è del Tiburtino III, ha un padre inutile che è il primo dei contagiati nonché capo degli alieni e una madre estetista a domicilio. Lei è il suo opposto, una fashion blogger, la più nota e importante, che finisce al Tiburtino III perché ritiene che quegli strani eventi possano andare in trend e quindi una sua partecipazione gioverebbe ai suoi canali. Loro due saranno gli unici a capire cosa succede e con un gruppo di amici tentare di salvare il quartiere e quindi il mondo.

La prima ovvietà è che il film ha un’idea di come ritrarre il Tiburtino III e i suoi abitanti ma non ne ha nessuna di come ritrarre quella che dovrebbe essere la fashion blogger più importante degli ultimi 4 anni (definizione data dalla storia), la rappresenta per sentito dire, per stereotipi vaghi, e questo nonostante Sveva Mariani sia palesemente l’attrice più interessante e a fuoco di tutto il cast, l’unica che porta alle scene un’energia e l’unica che mostra un vero registro comico. Il resto del cast femminile, che comprende Paola Minaccioni, dovrebbe occupare un ruolo cruciale con il procedere della storia ma è sempre fuori dal film, come se recitasse in un altro film, in una qualsiasi commedia italiana.

A La guerra del Tiburtino III in realtà interessa molto di più il contesto, come sempre per il cinema italiano, e usa i personaggi come macchiette finalizzate a una presa in giro, vuole fare satira. Non a caso la trama ha come finalità bloccarli lì, in quel posto, così da poter sfruttare molte location diverse, quasi sempre in esterni. Quella di una centralità dell’architettura del quartiere era anche una delle idee di Attack The Block (forse il referente straniero più diretto anche se rimane molto diverso, molto molto diverso) ma non si può scrivere un film di questo tipo con così poca cura (che fine fa l’idea che gli alieni spargono idee di destra?), così poca capacità di girare scene d’azione (o pseudo-tali) e così poca passione per l’avventura o anche solo conoscenza di cosa conta in un film avventuroso o di pseudo-fantascienza. E soprattutto non lo si può riempire così tanto di musiche così generiche e stucchevoli (composte dallo stesso Emiliano Rubbi) e andarne anche così fieri da ostentarle in ogni transizione tra scene.

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