La Fracture, la recensione | Cannes 74

Pensato per raccontare e semplificare le divisioni sociali La Fracture fa l'uso minimo dei suoi strumenti e non sa mettere a frutto nulla

Critico e giornalista cinematografico


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La Fracture, la recensione | Cannes 74

L’ospedale di La Fracture è il più classico dei microcosmi umani, il posto i cui giungono tutti da tutte le estrazioni, di tutte le ideologie, tutti con la medesima esigenza nelle mani di una struttura gestita dallo stato. È un tipo di metafora molto forte lungo tutto un film che mostra contrasti molto molto vecchi in una nuova foggia, idee politiche che vengono dal ‘900 rimescolate per spiegare e raccontare il mondo moderno.
Ci sono i gilet gialli, un po’ scemi ma con il livore di chi è stato messo ai margini dalla società, ci sono i manifestanti e c’è la polizia che li carica. Ci sono le due donne di buon reddito che sono lì perché una si è fatta male ma si stanno lasciando e questo le rende nervose e ci sono infermieri e medici che lavorano in condizioni non proprio eccezionali ma con un’etica di ferro.

Si può anche morire di insofferenza davanti a La Fracture se non si ha in amore il cinema che parte per semplificare la realtà con l’idea di spiegare il mondo e la politica a tutti (attenzione che il titolo gioca tra la frattura che porta la protagonista in ospedale e la frattura che esiste nella società). E anche volendo guardare solo alla maniera in cui La Fracture cerca di farsi piacevole c’è da irrigidirsi. L’alternanza meccanica tra commedia e dramma è da scuole elementari del cinema, ma quel che forse rivela più di tutti i dialoghi scialbi la pochezza del film è il modo in cui è gestita Valeria Bruni Tedeschi.

Presa per il suo solito ruolo (donna nevrotica, un po’ snob e involontariamente divertente) è la linea comica del film. Comica di un umorismo slapstick, molto fisico e continuamente al centro dei dialoghi con parlantina svelta e nervosismi. Siamo lontanissimi dall’uso che ne aveva fatto invece Paolo Virzì in La pazza gioia, dandole il personaggio di una persona mentalmente squilibrata e comunque facendola recitare con molto più contegno e minimalismo, affidandole un umorismo di parola (i cui tempi centrava benissimo) e mettendola al centro con garbo. Qui invece è una macchietta, mai davvero gestita e sempre messa lì chiedendola di farci ridere con i suoi tormentoni.

La Fracture è insomma grossolano in tutto. Grossolano in come gestisce gli attori, grossolano nella maniera in cui vorrebbe far indignare gli spettatori seguendo le sue idee e grossolano nel cercare di fare una commedia amara, assolvendo infermieri e medici, raccontando di un paese diviso solo in superficie ma tutto sommato unito nella difficoltà.
I personaggi non sono mai persone autonome ma sono sempre esponenti e simboli della proprie categorie. Ogni cosa che fanno ci parla non di loro ma della loro categoria. Il peggio.

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