La folle vita, la recensione
Partendo da una storia comune di demenza senile, La folle vita trasforma il genere in una ricerca di vita e non in fuga dalla morte
La recensione del film passato a Cannes ACID, La folle vita, in uscita il 29 giugno nelle sale italiane
Se c’è un ambito in cui La folle vita non vuole essere realistico, uno solo, è proprio quello dei costumi e della scenografia. Più la salute della mamma condiziona la vita del figlio e i suoi rapporti, più il suo regalo così vistoso si propaga. Più la coppia frequenta dottori (prima una ginecologa per sé, poi i geriatri e gli psichiatri per la madre) più questo è filmato in ambienti con colori decisi abbinati ai loro vestiti, tutti uguali, tutti un po’ ridicoli in balia delle indicazioni mediche. Non ci sono dubbi che questo sia un film che racconta qualcosa di molto realistico per suggerire qualcosa di molto più astratto, un approccio alla vita, una condizione sociale (svelata dai problemi nel fare figli e le molte indecisioni) e infine degli impasse.
Raphael Balboni e Ann Sirot però in questo film inseriscono uno spirito e soprattutto una risoluzione tra il sognante, l’auspicabile e lo sguardo rivolto al domani, che da soli aprono a toni inediti per il genere. L’operazione è di puro cinema: unire un finale inaspettatamente positivo a un ragionamento non per questo irreale. Ispirare e sollevare più che documentare, senza rinunciare a personaggi e situazioni concrete. Là dove il cinema di malattia e senilità si concentra sulla devastazione umana e sulla fine della vita incipiente, sul termine della coscienza e la disperazione, La folle vita è invece incredibilmente costruttivo. Il vero arco narrativo lo possiede il figlio (che deve capire come avere a che fare con la situazione) e proprio guardando lui tutta la storia trasforma un evento che associamo da sempre al decadimento, in una trama di rinascita e quasi in un coming of age, in cui il passaggio da un’età all’altra è un mutamento di stato (da autonoma a dipendente, da madre a figlia) che porta consapevolezze nuove, in cui trovare nuovi equilibri, imparare a saper vivere di nuovo con tutto quello che comporta e non attendere la morte e basta.