La fine della ragione, la recensione [2]
Abbiamo recensito per voi La fine della ragione, il fumetto di sfogo politico e sociale di Roberto Recchioni
Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.
La fine della ragione è un manifesto che vuole illustrare, tramite una breve fiaba che ci piacerebbe poter definire distopica, le preoccupazioni dell'autore. Urla, questo volume. Urla contro avversari politici ben precisi, anche se non direttamente. O, quantomeno, contro la visione che Recchioni ha di una importante componente politica e di tanti, preoccupanti, fenomeni di comunicazione e di incultura che diversi commentatori le imputano di sostenere e avallare. Urla contro chi si affida alla rete invece che ai libri, urla contro gli antivaccinisti, urla contro chi protesta senza sapere, contro chi se la prende con gli esperimenti del Gran Sasso, contro il tracotante populismo di Le Iene, contro chi sfrutta la pancia della gente per creare paura e per risolvere i suoi timori con la negazione delle responsabilità. E tanto altro ancora.
La sensibilità servirebbe all'autore per entrare in contatto con il suo pubblico a un livello più ampio. Servirebbe a emozionare a un livello più generico, a riportare il particolare al generale, a parlare di temi più ampi e più umani. Ogni comunicazione politica ben fatta ha una componente di sensibilità, tende a entrare in contatto con l'interlocutore, a creare una comprensione istintiva, a trovare nel messaggio quel che c'è di universale, quel che ha l'opportunità di arrivare a tutti (persino agli avversari politici, a volte) per sottolineare la propria importanza, per creare un contatto. Ma a Recchioni non interessa, forse, essere sensibile.
La fine della ragione è combattivo, dicevamo, e barricadero, come le ultime volontà di un combattente disperato e indomito, ma un'idea forte rimarrebbe comunque necessaria, anche bandita la sensibilità per scelta semantica. E invece non riusciamo a trovarla. Non c'è a livello narrativo, dove ci troviamo a seguire una vicenda scarna, una fiaba scheletrica e senza grande originalità, che non serve a veicolare il messaggio, ma solo a farsi commento delle parole di Recchioni. Accompagnano infatti le tavole tante parole, che finiscono per essere le vere depositarie del pensiero dell'autore e che raccontano molto più di quanto non facciano le immagini e i personaggi, anche se prendono meno spazio. Hanno un peso specifico preoccupantemente superiore a quello del fumetto vero e proprio, da cui finiscono per apparire quasi separate. La storia di una madre (tema carissimo all'autore) che decide di ribellarsi alla società oscurantista per salvare la propria figlia e rivolgersi alla scienza per salvarla, risulta debole, dimenticabile, poco rilevante. Coperta dalle grida di rabbia e di dolore per la "fine della ragione" che fa da titolo all'opera.
Un'opera che, in fin dei conti, non è che una confessione incazzata di cose già note, che ti chiede di essere d'accordo e ti dice cose che già sai, se volevi saperle, che non ti interessano se hai una posizione diversa, perché non ci credi. Difficile risultare davvero interessanti, soprattutto senza toccare mai il cuore, senza appassionare a una vicenda troppo breve e schematica e, aggravante inaspettata, senza riuscire a creare un'atmosfera generale dal punto di vista grafico.
La fine della ragione risulta un collage di tanti stili, che si manifesta soprattutto nella serie di vignette collaterali alla breve trama principale, in cui emergono tante e disorientanti ispirazioni. C'è un po' di vignetta satirica, ci sono citazioni dal Cinema, fa capolino Go Nagai (il parallelo più azzeccato del volume, quello con la caccia alle streghe di Devilman) in una sarabanda di suggerimenti che purtroppo rende il risultato finale ancora più annacquato. L'idea forte in cui speravamo in termini di trama, manca anche nelle immagini: senza, il volume sembra un elenco episodico, privo di coesione, e, di conseguenza, di forza comunicativa, perso tra l'altro in un compromesso di toni, tra l'ironia tagliente e la tragicommedia buia e oscura.
Per apprezzare fino in fondo La fine della ragione, ci pare, ci sono due condizioni necessarie: essere dei cultori della personalità di Recchioni e rispondere alla sua adunata, impazienti di sapere quel che lui ha da dire sulla nostra società, sulla politica del nostro Paese e sui nostri tempi, come fedeli soldati che vedono nel loro generale un faro illuminante e l'ultima guida possibile verso la salvezza, oppure essere d'accordo con lui e avere voglia di sentirsi dare una pacca sulla spalla, di ascoltare una voce che ci dica di avere ragione, che ci rassicuri sulle nostre posizioni. In assenza dell'una o dell'altra, quest'opera ci pare traballante e un po' superficiale. Soprattutto perché è dell'opera di un grande autore che stiamo parlando. Un'occasione mancata, forse per la fretta, forse per la troppa voglia di gridare.