La fine della ragione, la recensione

Abbiamo recensito La fine della ragione, graphic novel di Roberto Recchioni edita da Feltrinelli Comics

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Siamo nel presente. Magari non in questo preciso momento, ma in uno che veste le medesime condizioni sociali. Ha vinto l’ignoranza, la scelta di non sapere, rimettendosi alla divina clemenza o al caso. Ha vinto l’uguaglianza degli stolti, che mettono in ginocchio la specializzazione per far posto alla generalizzazione. Hanno vinto loro, i granelli indistinti che compongono “La Gente”.

La fine della ragione, edito da Feltrinelli Comics, più che un fumetto è un documento, una memoria storica di quello che è il nostro tempo, raccontata con la velocità e il linguaggio che lo contraddistinguono. In questo lavoro, Roberto Recchioni, autore unico della graphic novel, utilizza poche parole, sottolineando quelle chiave in rosso, rispecchiando quella scarsa attenzione del popolo della rete, sempre in cerca di stimoli nuovi, gridati più forte in mezzo al mucchio.

L’intero fumetto è un racconto punk che si legge tutto d’un fiato, dove realtà e finzione si incrociano costantemente con riferimenti testuali e visivi alla cultura pop. Recchioni disegna un se stesso adulto (dopo le versioni più giovani viste in Asso) come cantore della storia, a cui cuce addosso sia la responsabilità di raccontare l’ultima vicenda di un mondo destinato a soccombere sotto la sua stessa mano, sia l’arroganza necessaria per distinguersi dalla folla populista e giudicarla.

Come molte altre storie firmate dall’autore romano, il racconto vede protagonista una madre, che si fa carico del peso del mondo procedendo dritta per la sua strada, ignorando chiunque si pari sul suo cammino; sua figlia sta morendo nel caldo abbraccio dell’ignoranza colma di certezze della giuria popolare, e solo lei può salvarla seguendo la chimera lontana della medicina tradizionale in un mondo segnato dall’omeopatia e dai rimedi della nonna. La madre, ultimo baluardo della ragione umana, si muove in direzione ostinata e contraria rispetto alla corrente cercando un elemento lontano, nel tempo e nello spazio, quasi come fosse sepolto nella memoria di un passato remoto.

Dietro ogni madre forte c’è sempre un padre debole. Per questo, le (poche) figure maschili all’interno di questa storia sono manifesto di ogni possibile difetto, evidenziato per contrasto dalla purezza intrinseca della donna. Se lei rappresenta la ragione, gli uomini rappresentano lo stomaco; lo stesso stomaco che, sollecitato eccessivamente, vomita. Il prodotto rigettato dal corpo umano è incarnato dalla folla inferocita, dal rifiuto della razionalità e dalla cieca autocoscienza: dietro queste bugie, il popolo le ha tentate tutte per sopravvivere, alzando i pugni al cielo in segno di provocazione quando giunge l’epilogo tanto ovvio quanto tragico degli eventi o serrandoli con gioia quando tutto sembra volgere inspiegabilmente al meglio.

Il contenuto più immediato e potente di questo fumetto è incarnato sicuramente dalla scelta delle parole: ogni spiegazione, slogan e dialogo è preso alla lettera dall’uomo della strada, pescato a piene mani dalla ragione della folla che fa ridere, almeno finché il capro espiatorio non siamo noi o essa non viene veicolata per fini politici tutt’altro che comici. Dietro una società che si sgretola c’è il fantasma del regime assolutista, che impiega poco a prendere un malcontento per trasformarlo in un nuovo, rassicurante dogma. Per questo, l’ambientazione mostrata ne La fine della ragione non solo racconta l'assenza di raziocinio, ma anche la totale egemonia dello stomaco al potere.

Recchioni parla con toni semplici, immediati, inconfutabili e molto provocatori di determinazione e sfide, di libertà, di scelte e di conseguenze, di doveri e di ideali; non nasconde mai la mano dopo aver lanciato il sasso, così l’intero racconto è una triste e puntuale cronaca di quel che è già la nostra realtà, non di quel che sarà: non una distopia, dunque, né tantomeno un mondo alternativo. Il modo in cui viene dipinto il contesto in cui è ambientato questo fumetto è angosciante, cupo, senza mezzitoni che lascino spazio al dubbio. Esiste la luce e il buio, come esiste la "verità" e la menzogna: la prima in mano al popolo e la seconda in mano a tutti gli altri che restano fuori.

Dal punto di vista grafico, l’autore fonde le figure incombenti di Frank Miller e Go Nagai in una sintesi che, strizzando l’occhio a oriente e occidente, rappresenta l’Italia sotto una lente silenziosa e solenne, con una palette costituita da pochi colori, tutti pregni di significato narrativo.

Dalla penna dello stesso autore, la malattia muta nel corso degli anni: da essere madre esigente e gelosa (Dylan Dog: Mater Morbi) a mostro da sconfiggere proprio per mano di una mamma. Quella della madre è una missione archetipica, l'ultimo barlume di luce che si fa strada nell’oscurità, senza sapere cosa troverà in fondo alla caverna.

Se quanto viene raccontato da Recchioni è reale, probabilmente il mondo moderno ha raggiunto l’apice della conoscenza, tornando a un nuovo medioevo dove viene rifiutata ogni forma di pensiero complesso. Se non ci fossero gli spunti autoironici e comici, La fine della ragione sarebbe un quadro perfetto della realtà attuale, dove c’è tutto fuorché da ridere.

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