La Famiglia Belier, la recensione

In La famiglia Belier c'è l'infinita tristezza di veder fare anche al cinema francese che importiamo quel che già possiamo ammirare nella nostra televisione

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
Pensato con un oceano di bontà nel cuore La famiglia Belier è un film che porta al cinema la programmazione estiva del pomeriggio di Italia Uno.
I Belier sono un nucleo in cui padre, madre e secondogenito sono sordi, solo la primogenita ci sente. Integralisti del mondo della sordità hanno tutto un loro modo di organizzarsi, litigare, parlare e comunicare, anche se poi non possono quasi mai fare a meno della presenza dell'udente in famiglia per relazionarsi con efficacia con il mondo esterno. Mentre il combattivo padre decide di presentarsi alle elezioni del tranquillo paesino di campagna in cui vivono la primogenita, infilatasi nel coro della scuola per inseguire una cotta, scopre di avere delle potenzialità come cantante che i genitori non comprendono disprezzando gli udenti.

Attraverso il più classico dei ribaltamenti comici (chi ci sente è lo strano e il diverso) e una serie di grottesche amenità che sfruttano la mimica sopra le righe della famiglia non udente, La famiglia Belier crea un ambiente paratelevisivo di buonismo di provincia, con il minimo sindacale di approfondimento per ogni personaggio o anche solo di plausibilità per i suoi piccoli drammi. L'unico interesse di tutto il film sembra essere la possibilità di creare tenerezza intorno ai giovani amori e alle preoccupazioni dei genitori, il materiale tipico della commedia adolescenziale di grana molto grossa e scarsa agilità. Il cuore del film rimane infatti la lotta di una ragazza per la conquista della propria indipendenza (sia sentimentale che intesa come affrancamento dal nucleo originario) ma la soppressione di qualsiasi conflitto valevole che non sia quello per essere presa nella grande scuola di musica della capitale, uccide la credibilità di ogni situazione.

Piccoli sogni per piccoli personaggi che si trovano di fronte minuscoli ostacoli da superare grazie all'amore e al talento in una fotografia modellata sull'annullamento di qualsiasi impressione di cinema. Difatti, a testimonianza della derivazione televisiva di tutta l'operazione, il finale si presenta in piena tradizione "talentuosa", cioè la realizzazione della protagonista è instradata nella direzione più di moda nell'immaginario artistico televisivo degli ultimi anni, quella del canto.
Il fatto che il film sia stato nominato a 6 premi Cesar (quasi tutti per gli attori) e ne abbia vinto uno (Miglior attrice rivelazione) dovrebbe aiutarci a rivedere verso il basso i complessi di inferiorità verso il cinema francese.

Continua a leggere su BadTaste