La doppia ora - la recensione

Un ex poliziotto e una cameriera si innamorano, ma accade un tragico fatto. Passato in concorso alla Mostra di Venezia e vincitore della Coppa Volpi grazie a Ksenia Rappoport, un thriller modestissimo e che non sa bene dove andare a parare...

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Recensione a cura di ColinMckenzie

TitoloLa doppia oraRegiaGiuseppe Capotondi
Cast
Ksenia Rappoport, Filippo Timi, Gaetano Bruno, Antonia Truppo, Fausto Russo Alesi
Uscita09 ottobre 2009
 

E' difficile fare film di genere in Italia. Non solo perché i produttori magari non sono interessati (se volete dei contributi pubblici, non è proprio il tipo di film su cui puntare), ma anche perché tutti noi appassionati ogni volta ci aspettiamo e speriamo il titolo che faccia risorgere questo settore, mettendo forti pressioni ai realizzatori. Certo, l'ideale sarebbe che i produttori puntassero maggiormente su questi prodotti, in modo che l'abbondanza porti anche a dei risultati artistici notevoli (almeno in qualche titolo), ma al momento la penuria di offerte genera questa situazione. Era già capitato all'inizio dell'anno con Imago Mortis ed ecco che la questione si ripropone con La doppia ora, che ha anche al suo attivo l'onore (o l'onere?) della partecipazione in concorso al Festival di Venezia. Aggiungiamoci anche interviste in cui il regista Giuseppe Capotondi citava come sue influenze le pellicole di Argento e Polanski e potete capire come l'attesa fosse notevole, almeno dalla parti di Badtaste.

Peccato che di tutte queste ottime intenzioni nel film non ci sia praticamente traccia. Il problema evidente (e che contraddistingue buona parte della nostra produzione) è la volontà assoluta di non fare nulla di estremo. Si poteva finire nell'horror (magari anche feroce), ma questa strada è stata assolutamente evitata. Si poteva creare il film di atmosfera e inquietante (polanskiano, magari à la L'inquilino del terzo piano, che forse è un piccolo punto di riferimento a tratti), ma evidentemente ci sarebbe voluta una storia, un coraggio, uno sguardo dietro la macchina da presa decisamente diverso.

E di brividi ed emozioni forti neanche a parlarne, se non per un paio di effettacci sonori da pessimo cinema americano. Non è assolutamente inquietante, né misterioso, tanto che la trama è evidentissima non solo a chi ha lavorato come poliziotto (e in questo senso il protagonista maschile è pessimo, così come la 'presenza' delle forze dell'ordine), ma anche a chi (molto più semplicemente) si è visto nella sua vita un paio di thriller noir. Tanto che ti viene da prepararti psicologicamente a qualche finale a sorpresa (magari banale, ma tanto per uscire da una certa piattezza), come ci ha abituato certo cinema negli ultimi anni, che però invece non si presenta.

Così, rimane un prodotto che non scontenterà chi fa i palinsesti per le televisioni generaliste (nulla che possa portare grane di nessun tipo), ma per cui è difficile capire che interesse ci possa essere da parte del pubblico cinematografico internazionale (e temo, dopo magari un discreto primo weekend, anche nazionale). D'altronde, in questa overdose di prodotti che ci sommerge da tutte le parti del mondo su decine di piattaforme diverse, fare cinema medio (nel senso di stare a metà tra due estremi) è quasi un suicidio, se non artistico sicuramente produttivo.

E dire che l'inizio non era certo male, con dei dialoghi più credibili della media del nostro cinema e soprattutto un Filippo Timi che dimostra di avere una presenza attoriale che fa veramente ben sperare per il suo futuro, dopo la notevole prova che aveva già fornito in Vincere. Ma poi andiamo a finire nei soliti problemi del cinema italiano, come dei personaggi comprimari scritti male (e recitati non tanto meglio, ma lì l'impressione è che il difetto stia nel manico, ossia dietro alla macchina da presa) e delle velleità autoriali che stonano completamente con il cinema di genere. Per esempio, l'amore folle (e poco comunicato) tra i due personaggi farà tanto Antonioni, ma in questo contesto in cui non viene espresso diventa un fardello pesante nelle scelte dei personaggi. Basti pensare al personaggio della Rappoport, che dovrebbe essere complesso, ma che alla fine è molto più piatto di quanto si possa tollerare (ed è veramente difficile capire le ragioni di un premio così importante come la Coppa Volpi al Lido).

In sostanza, la classica, ennesima occasione mancata del nostro cinema. Giudizio banale che non vorremmo mai esprimere, ma che purtroppo quasi sicuramente ci ritroveremo a utilizzare in futuro...

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