La crociata, la recensione

Prendere sul serio le nuove generazioni è ciò che davvero ci esorta a fare La crociata, e Garrel riesce in questo intento con una semplicità e un senso di umanità sorprendenti.

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La crociata, la recensione

Dopo Due amici e L’uomo fedele, Louis Garrel con La crociata presenta un nuovo episodio del suo alter ego cinematografico Abel: stavolta il conflitto del suo personaggio narcisista ed egocentrico non è però una questione solamente privata. In La crociata, infatti, la disillusione e lo scetticismo di Abel si scontrano con una questione generazionale (più che di ideali di veri e propri stili di vita e visioni del mondo) e porta Garrel (che ha co-scritto il film con il recentemente scomparso Jean-Claude Carrière) su un piano di racconto altrettanto incisivo e sofisticato, ma che conserva perfettamente allo stesso tempo quella dolcezza e quel senso di umanità difettosa che caratterizzano il suo cinema.

La crociata in questione è quella di Joseph (Joseph Engel), suo figlio tredicenne, ed è una crociata ecologista. Joseph infatti insieme a dei suoi coetanei fa parte di un'associazione internazionale di bambini e ragazzi che ha progettato, senza l'aiuto di adulti, un piano per fare il mare in mezzo al deserto del Sahara. Abel e Marianne, una volta scoperto questo lato segreto del figlio, dovranno fare i conti con le loro responsabilità sia di genitori che di adulti menefreghisti di fronte un pianeta destinato alla rovina.

Il rischio di perdersi nell’ansia della denuncia non c’è affatto, perché in questa storia piccolissima (ma solo per ordine di grandezza: appena un’ora di film con un plot minimale) la questione ecologica si stringe subito nell'ambito familiare, raccontato proprio alla luce di come le diverse generazioni affrontano il cambiamento. Con grande intelligenza di scrittura La crociata riesce però a mischiare finemente il macro (il futuro per i bambini, ma anche il passato per Abel, che una volta era più idealista) e il micro (la relazione tra i genitori e quella tra il figlio e i coetanei, per certi versi decisamente più adulte).

Se Abel riassume la posizione di chi tramite lo scetticismo vuole proteggere uno stile di vita che fatica a cambiare, la madre Marianne (Laetitia Casta, vera e propria protagonista) è invece colei che realmente capisce che ascoltare senza paternalismo i più piccoli è decisivo per rendere un futuro migliore qualcosa di più di un miraggio.

Prendere sul serio le nuove generazioni è insomma ciò che davvero ci esorta a fare La crociata, e Garrel riesce in questo intento con una semplicità e un senso di umanità sorprendenti. Sempre al limite tra il comico (del suo personaggio soprattutto, un moderno Antoine Doinel di Truffaut anche in questo senso) e il drammatico, Garrel riesce in poco tempo a raccontare tantissimo e lo fa con idee di racconto geniali nel loro minimlismo (la sequenza iniziale dove Joseph vende i beni di famiglia, una Parigi svuotata per le polveri sottili).

Forse non è un caso che, in L'uomo fedele, Abel si lamentasse di non essere in grado di parlare ai bambini: "Mi rivolgo a loro come se fossero adulti, ed è sbagliato. E quando parlo con loro come se fossero bambini, sbaglio comunque”. Con La crociata, invece, Abel ha finalmente capito che bisogna semplicemente ascoltare.

Siete d’accordo con la nostra recensione di La crociata? Scrivetelo nei commenti!

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