La chimera, la recensione

Eccezionale con le immagini, discutibile con la sceneggiatura, irrisolto in definitiva, La chimera mostra i limiti di una regista eccezionale

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di La chimera, il nuovo film di Alice Rohrwacher presentato in concorso al festival di Cannes

Non ha mai bisogno di abbellire nulla Alice Rohrwacher, specialmente la campagna. La misteriosa particolarità delle sue immagini sta in un’estetica mai addolcita eppure sempre attraente. È con la luce del sole che dà il suo meglio, sempre così chiara e così vera da accecare (e ovviamente conHélène Louvart, da sempre la sua direttrice della fotografia). Come non ha mai bisogno di abbellire i volti delle attrici che scova e riprende con una capacità che non ha niente di normale (si veda in Futura come cambiano i primi piani e come cambia lo sguardo quando entrano in gioco lei e le sue ragazze), sempre fuori dai canoni del cinema e al tempo stesso sempre dentro quelli di un’Italia tradizionale che nei film e nelle serie non esiste più da decenni. Volti da cui lei estrae momenti così autentici e spontanei da essere il mezzo e non il messaggio, cioè da essere significativi molto più per quello che sono che per quello che in quel momento esprimono. Non è esagerato dire che in un cinema italiano da sempre maschilissimo lei è l'unica regista capace di riprendere le donne per spiegare al mondo che soggetto pazzesco siano prima ancora della prima riga di sceneggiatura.

Il fatto è che Alice Rohrwacher possiede uno sguardo unico. E lo sguardo al cinema non è la cosa più importante, è l’unica che conti. Il suo dà il meglio con le ragazze e le donne, su di loro crea espressioni e quindi stati d’animo e sentimenti che gli altri registi e registe non sanno nemmeno toccare. È un potere che però scompare di fronte agli uomini e alle città, il rovescio della medaglia dei suoi film. Non fa eccezione il protagonista di La chimera, archeologo ladro di tombe con poteri sensitivi, un personaggio che non capiamo mai, dotato di un conflitto (questo è certo) che non trova mai una vera attuazione ma solo scatti d’ira, mutismi sofferenti e cambi repentini di opinione che manifestano disagio (in lui ovviamente ma anche negli spettatori).

Lui e i suoi sodali tombaroli scavano, trovano e trafugano antichità per conto di un padrone cittadino ma con crescente disagio e biasimo delle persone che incontrano e a cui vogliono bene. Si arriverà ad una specie di delirio di onnipotenza tombarola che mostra tutti i limiti dell’irrisolutezza del cinema di Alice Rohrwacher. Più il suo stile si è raffinato più tutto il resto è stato accantonato, fino ad essere accennato. Anche La chimera non affonda mai in quello che inizia a dire e preferisce passare subito ad altro come rapito da una curiosità vorace. Così accade che personaggi grandi e piccoli siano trascinati via dagli eventi, intere questioni della trama trascurati (il loro passato, il ruolo di Isabella Rossellini), spinte cruciali non interessino a nessuno (l’attrazione del protagonista per le tombe e il suo potere che rimane un dettaglio fascinoso), intere visioni di mondo rimangano spunti (quella di questa comunità di ladri popolani di campagna agiti da un padrone di città lontano) fino anche le più sorprendenti parti spiritualiste abbandonate (il personaggio della donna portoghese e il suo culto dei morti).

Addirittura anche il rapporto di Alice Rohrwacher con il cinema di Pasolini e Bolognini, il vero elefante nella stanza, e quella passione formale discutibile che ha per espedienti da cinema italiano anni ‘60 e ‘70 (qui addirittura ci sono le velocizzazioni!) non è mai risolto, affrontato, sintetizzato o (magari!) sublimato. La più interessante, vivace e stimolante delle registe italiane (il suo cortometraggio Le pupille non ha nessuno di questi problemi ed è un’autentica meraviglia) di nuovo con La chimera non riesce ad andare più in là dei suoi stimoli, non riesce cioè a trasformare la rarissima capacità di creare immagini che fanno il lavoro più complicato con una semplicità che gli altri inseguono per una vita (l’ingresso nella tomba che di colpo rovina tutto è quasi banale nell’assunto ma realmente significativo nella resa) in un’opera completa.

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