La cena perfetta, la recensione

La cucina gourmet incontra la sceneggiata napoletana, ma in La cena perfetta è la seconda prende il sopravvento per il meglio

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di La cena perfetta, in uscita il 26 aprile

Sembra il massimo del contemporaneo La cena perfetta, commedia romantica e al tempo stesso cinema di cucina gourmet (come Amore Cucina e Curry o il lato più sentimentale di Il sapore del successo), il grande trend dei nostri anni. E invece al suo interno si cela quanto di più tradizionale esista, una sceneggiata napoletana, riconoscibile sia nei personaggi, che nella struttura che infine nelle soluzioni narrative. Un involucro contemporaneo (specialmente nella realizzazione) che contiene un cuore così tradizionale da essere stato dimenticato dal cinema mainstream e che, tuttavia, per una strana combinazione quando emerge in tutta la sua evidenza sembra essere la parte più avvincente del film.

La storia è una di malavita e in questo senso, all’interno del panorama mediatico italiano, La cena perfetta segna anche il matrimonio tra due mondi potentissimi della televisione a pagamento (e quindi dei gusti di un certo tipo di pubblico). C’è la neo Camorra di Gomorra, portata sia da Salvatore Esposito che poi dai costumi e dal ritratto di malavitosi dall’abbigliamento e dalla cura per l’estetica iper-brandizzata, e c’è il racconto della cucina alta con i suoi protagonisti diventati noti grazie ai molti programmi di cucina con chef stellati a partire da Cristina Bowerman, consulente della produzione (anche l’idea di unire alto e basso, memoria personale e innovazione è la lezione di molta cucina da tv).
All’inizio il protagonista si stacca dalla malavita perché troppo buono per farne parte, e viene esiliato a Roma a gestire un ristorante copertura che ricicla denaro sporco. Lì conosce la chef da cui il ristorante è stato rilevato, e attratto decide di cambiare tutto di non far vivacchiare quella copertura ma di farne un posto stellato con lei con i soldi del crimine. Crimine che ovviamente verrà ad un certo punto a bussare alla porta.

Sono quindi i sentimenti, quelli grandi, ad inguaiare un protagonista di cuore, che finisce per inseguire sogni e amori invece di fare quel che è più logico. Una struttura molto nota che il film interpreta bene, specialmente all’inizio, con un bel contesto e grande fluidità di racconto. Però più La cena perfetta avanza più fatica a tenere unite le sue due anime, anche perché i due personaggi che le rappresentano (il criminale Esposito e la chef Greta Scarano) non trovano una grandissima chimica, la loro storia procede ma non diventa mai coinvolgente e la loro possibile unione non è mai realmente bramata. Sarà invece molto più cruciale la risoluzione con il lato criminale della trama, sempre più una camorra da operetta negli atteggiamenti e definitivamente teatrale in una chiusa da grandissima sceneggiata, in cui cioè sentimenti più grandi di tutto invadono anche i cuori più neri, tutto viene sacrificato e ogni dramma viene risolto da una soluzione emotiva a tinte fortissime e impossibili. Pura stilizzazione narrativa che sconfina nell’operatico (purtroppo non anche formalmente ma solo a livello di scrittura) svelando definitivamente la natura della storia e ricucendo il legame tra cucina italiana e visione di mondo popolare.

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