La caduta della casa degli Usher, la recensione

La caduta della casa degli Usher frulla l'opera omnia di Poe in un minestrone incoerente, dove Flanagan diventa schiavo del suo stesso brand

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La nostra recensione di La caduta della casa degli Usher, disponibile su Netflix

Per chiunque abbia avuto la fortuna di leggere, in parte o in toto, le opere partorite dalla penna di Edgar Allan Poe, l'adattamento Netflix di La caduta della casa degli Usher ha i connotati orripilanti e grotteschi di una chimera confusa e irrispettosa. Sembra quasi che, nell'era dell'automazione, quel burlone di Mike Flanagan si sia divertito a dare in pasto a un'intelligenza artificiale l'opera omnia dello scrittore, chiedendole di partorire la più dozzinale e raffazzonata serie in otto episodi di sempre, con un unico vincolo: sfrutta quante più poesie, quanti più racconti, quanti più personaggi poeiani possibile.

Ecco dunque, incarnati da una vagonata di volti noti riciclati da Flanagan (spiccano le new entry Mark Hamill e Mary McDonnell) con una puntualità che inizia a odorare di presuntuoso microcosmo, tutte le figure più iconiche create dalla fantasia dello scrittore di Boston. Roderick e Madeline Usher, ovviamente, ma anche Lenore, Morella-Ligeia, Tamerlano, Prospero, l'immancabile corvo e una quantità imbarazzante di strizzate d'occhio affastellate senza mai una coerenza narrativa a far da collante, bieco mosaico luciferino che, nel fiacco finale, rivela la sua assoluta mancanza di originalità.

La trappola del brand

Da un punto di vista meramente stilistico, duole notare come Flanagan si stia adagiando sempre di più sulla forza del proprio nome; non c'è sperimentazione alcuna in questa La caduta della casa degli Usher, sia essa formale o drammaturgica. Ricorrono gli stilemi tipici del cineasta di Salem (figure inquietanti fuori fuoco alle spalle dei protagonisti), e la storia è costellata di jump-scare tanto ripetitivi da perdere, nel giro di un solo episodio, ogni efficacia in termini di tensione.

Siamo lontani anni luce dall'eleganza vivida e pulsante di The Haunting of Hill House, come pure dei successivi, ottimi Bly Manor e Midnight Mass. Ci troviamo, piuttosto, dalle parti dello pseudo-procedurale The Midnight Club; e, come nel caso del fallimentare teen-drama, anche qui le ambizioni sono tragicamente sproporzionate rispetto alla realizzazione. La potenza del materiale d'origine, frullato alla rinfusa con la cognizione di causa di un analfabeta, risulta schiacciata irrimediabilmente dal peso del brand Flanagan, schiavo di un narcisismo masturbatorio e sterile.

Non solo Poe

Va detto che, in questo ebbro turbine di poesie citate a caso e strizzate d'occhio tartassanti (la Roderick Usher Experimental soprannominata dai figli "R.U.E. Morgue" è solo uno dei beceri esempi di cui la serie è traboccante), qualcosa riesce comunque a far centro. Sarà forse il semplicistico meccanismo con cui La caduta della casa degli Usher dipinge i mostri che popolano questa famiglia satanica a farci assaporare con un certo gusto la rovina dei suoi membri. Tutto ciò, lo ribadiamo, al netto del voler citare a tutti i costi le morti più iconiche immaginate da Poe nei suoi scritti.

Sarà, ancor più probabilmente, la presenza di un cast comunque brillantemente bilanciato, coro greco che si trova a cantare la propria stessa disfatta. Sarà, infine, il fatto che gli Usher di Flanagan somigliano in modo smaccato ai Sackler (già sviscerati nella recente Painkiller), e che il crollo di fortune costruite sull'altrui sofferenza è uno spettacolo che lascia sempre un buon sapore in bocca. Alla luce di tutto questo e nella speranza che Flanagan si scrolli di dosso la tentazione di imitare sé stesso e ricominci a esplorare, salutiamo La caduta della casa degli Usher con la malinconica consapevolezza di essere di fronte a una mastodontica, ben confezionata occasione mancata.

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