La bellezza del somaro - La recensione

Un gruppo di cinquantenni affronta i propri problemi personali e le difficoltà dei rapporti con i figli. Il film di Sergio Castellitto è confuso, nevrotico e decisamente non riuscito...

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Recensione a cura di ColinMckenzie

Titolo La bellezza del somaro
RegiaSergio Castellitto
Cast
Sergio Castellitto, Laura Morante, Marco Giallini, Enzo Jannacci, Nina Torresi Barbora Bobulova
Uscita17-12-2010  

Nel cinema italiano moderno, uno degli argomenti più difficili da trattare sono i giovani. Forse, il problema è proprio quello di voler parlare di giovani e non di personaggi. Si ha l'impressione che si preferisca parlare di una (presunta) categoria attraverso marche, gusti, citazioni e quant'altro, piuttosto che creare delle figure sfaccettate e complesse.

La premessa è necessaria per far capire che tante critiche che verranno rivolte a La bellezza del somaro non sono certo sorprendenti e innovative rispetto al panorama generale del cinema nostrano. Certo, Castellitto ci mette anche di suo e non poco.

Il film vorrebbe essere una satira su una certa borghesia, rappresentata in maniera schematica da figure che quasi mai vediamo impegnate al lavoro, ma che dovrebbero essere uno spaccato della meglio gioventù versione 2010 (l'architetto, la giornalista, la preside, la psicologa, il dottore, ecc.). Ovviamente, le loro vite, dietro una parvenza di felicità e di Chiantishire, non sono felici.

E sì, ovviamente questi cinquantenni sono deludenti, scemi, nevrotici, egosti, insicuri e tante altre brutte cose. Forse però, proprio per tutte queste ragioni, la scelta migliore sarebbe di non fare un film su di loro, che non hanno nulla di interessante da dire. Purtroppo, sembra difficile che autori cinquantenni ammettanno non solo che la loro generazione ha fallito su più campi (fin lì, lo ammettono), ma che sostanzialmente non ha nessuna ragione di venir raccontata al cinema come se fosse un argomento di qualche interesse.

Poi, certo, non è il caso di generalizzare, quindi allo stesso modo per cui i giovani non sono tutti uguali (qui canne, computer, volontariato e pellegrinaggi la fanno da padrone), anche dei cinquantenni avrebbero potuto dar vita a storie molto più intriganti. Però, in un Paese gerontocratico come il nostro, è difficile non arrabbiarsi quando sentiamo che Laura Morante si lamenta che questo non è un Paese per vecchi (???). Insomma, è la solita storia, una critica sì, ma alla fin fine questi uomini e donne di mezz'età sono in fondo delle brave persone o almeno si ritengono tali. 

Così, ci troviamo a metà strada tra Muccino e Verdone. Il problema è che qui (dopo aver dato ben altre prove in passato) il Castellitto regista non è nessuno dei due al momento. Muccino, infatti, gira mille volte meglio e a livello tecnico i suoi film sono quasi sempre ineccepibili. Qui invece ci si chiede se il montaggio è stato fatto sotto anfetamine, perché un racconto del genere non può essere portato avanti con dei tagli frenetici alla Michael Bay. Per quanto riguarda Verdone, il regista romano, anche nelle sue prove peggiori, è in grando di costruire dei personaggi più affascinanti e stimolanti per lo spettatore. 

C'è poi il solito problema delle pellicole intelligenti (come il suo autore definisce questa), che si staccano dalla volgarità della concorrenza, magari, come in questo caso, natalizia. Purtroppo, non basta mostrare i titoli dei libri sullo schermo per risultare delle opere profonde. Il punto è che, come ho già ripetuto diverse volte per altri titoli, questi presunti titoli raffinati fanno ridere solo quando parlano (cito testualmente) di "culo, pompini, uno scroto che è come la carta vetrata, scassa il cazzo, che palle, mignotta e una montagna di fregna fresca".

Purtroppo, nonostante l'ottimo cast sulla carta, gli attori risultano tutti eccessivi, tanto da far capire che il problema è chi li dirige. E se la Morante nevrotica ormai sembra far coppia con i ruoli di Margherita Buy (a proposito, bisognerà discutere di questa idea del cinema italiano per cui una parte femminile importante preveda per forza urli e depressione), Marco Giallini e Gianfelice Imparato, che in occasioni recenti erano stati divertenti (rispettivamente Io, loro e Lara e Into Paradiso), qui vengono malamente sprecati. Ed Enzo Jannacci, benché un sollievo per la sua tranquillità in scena, sembra un po' falso nel tentativo di contenersi a tutti i costi. A questo proposito, peraltro, pensate forse che l'idea forte di una relazione tra un settantenne e una diciassettenne poteva essere portata fino in fondo, sesso compreso? Ma per carità...

Peccato, perché dal regista di Non ti muovere, in grado di uscire efficacemente da certi binari scontati del nostro panorama, ci si aspettava molto di più...

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