La Befana vien di notte: le origini, la recensione
Finalmente un film per l'infanzia fatto senza dare l'impressione che sia un nonno ad averlo concepito. Non uno perfetto, ma uno che possa avere un senso
C’è sempre Nicola Guaglianone alla scrittura di questo prequel, l’unico sceneggiatore italiano che quando ha voglia di scrivere di certi sentimenti pensa in termini di cinema fantastico, di storie d’intrattenimento e di personaggi dotati di una propria epica, ma cambia sia il suo ruolo (non più solo sceneggiatore ma anche produttore creativo, una specie di showrunner per un film) e il manico, che è di Paola Randi. La sua mano è molto adatta e questo film dall'impianto è sempre ben messo in scena, con coerenza, look e ritmi giusti, solo l'azione ci ricorda che stiamo guardando una produzione italiana (inspiegabilmente sembra sempre manchino delle scene, vediamo gli esiti delle azioni ma non l'azione, vediamo le persone cadute ma non il momento in cui cadono).
A differenza di molti altri esempi sul genere (e per certi versi anche a differenza del primo capitolo), La Befana vien di notte: le origini sembra non partire dal presupposto che a un pubblico di bambini sotto i 12 anni occorra parlare come se non sentissero bene o non fossero in grado di comprendere un testo. Invece gli si riserva un umorismo intelligente, gli si propongono personaggi bastardi anche quando sono positivi (che una fetta di complessità male non fa) e addirittura, come già scritto, anche un cattivo pieno di problemi, la cui Odissea è in un certo senso comprensibile e la cui mal disposizione d’animo ha delle radici chiare. Peccato che ad interpretarlo sia stato scelto Fabio De Luigi, fuori luogo quando deve cementare la propria identità di villain e suonare minaccioso o anche solo sottilmente pericoloso. È invece confermata la capacità di stare in scena, funzionare, colpire ed essere efficace con grandissima precisione di Herbert Ballerina che da solo salva intere scene prima che il film sventatamente lo metta fuori scena.
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