La Bambola Assassina, la recensione

Molto più ironico e consapevole, ma anche dolcemente distopico e godereccio, il nuovo La Bambola Assassina è una piacevole sorpresa

Critico e giornalista cinematografico


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La Bambola Assassina è un finto-remake: utilizza titolo e brand Chucky, cioè la bambola con (più o meno) quelle fattezze e il coltello in mano, ma di fatto è un film completamente diverso che vuole spaventare su altri temi e ha proprio un altro cuore.

Quello che rimane è l’anima da slasher autoironico (anche più dell’originale perché molto più consapevole), quel che cambia è il contesto. La versione 2019 di La Bambola Assassina è una distopia del presente in cui l’orrore non viene dal voodoo ma dalla tecnologia, viene dallo sfruttamento di manodopera senza diritti in paesi asiatici da parte di multinazionali occidentali. La nostra noncuranza di cosa avvenga lì per avere qui prodotti di consumo a basso costo è l’origine di tutto, perché lì l’intelligenza artificiale che regola la bambola viene modificata: per dispetto.

L’idea è buona ed è anche applicata abbastanza bene. Chucky apprende per tutta la prima parte del film e non sempre bene, non ha filtri per via della modifica che ha subito e facilmente fraintende, indirizzando il fatto che è programmato per essere il miglior amico del padrone verso l’eliminazione della concorrenza. Tra Christine e HAL 9000, Chucky è anche collegato agli altri device domestici dell’azienda che l’ha prodotto (che, va detto, non si chiama né Amazon né Google eh!).

Questo classico horror consapevole di tutto (del proprio brand, della storia del genere, dei suoi meccanismi e del fatto che anche il pubblico lo è) non mira a spaventare davvero, semmai un po’ a inquietare ma soprattutto a divertire con il sangue, cercando (e in molti punti trovando) un buon equilibrio tra serietà e consapevolezza dell’assurdità del tutto. Un perfetto midnight screening da drive-in in cui l’esagerazione dello splatter è quasi una compensazione, una giustificazione per i toni più che altro da Black Mirror.

Anche la scelta della co-protagonista suggerisce consapevolezza. Aubrey Plaza, eterna ventenne stufa con occhi a mezz’asta e sarcasmo incorporato, è qui una giovane madre interpretata senza cambiare di molto il repertorio di espressioni, il che genera un effetto da commedia che sfuma la paura e richiama i suoi ruoli comici. Si aggiunge inoltre anche un nuova banda di amici del protagonista, tutti affiancati da Bryan Tyree Henry, figura comica e malinconica già vista in Atlanta. Non si contano infine chicche e inside joke a diversi livelli di profondità come Mark Hamill a doppiare la bambola (ecco quindi un'inevitabile gag su... Han Solo).

Il nuovo La Bambola Assassina è molto meglio di quel che non si potesse temere, anche se arriva forse un pelo troppo spompato al suo finale. Tuttavia ha il pregio di sapere davvero come ci si diverte oggi con uno slasher. Per questo stupisce che sia diretto dallo stesso regista che solo poche settimane fa ha portato al cinema il terribile e ridicolo Polaroid e viene da pensare che forse il merito sta più sulle spalle dello sceneggiatore (quasi esordiente) Tyler Burton Smith.

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