La abuela, la recensione I TFF 39

La abuela, il nuovo film di Paco Plaza, ci conferma che tempi di REC sono lontani, come già dimostrava il suo precedente Veronica

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I film horror, o almeno quelli che puntano su jump scare e grandi shock, si basano sempre su uno stretto rapporto con lo spettatore, in quanto la loro riuscita dipende prevalentemente dall’effetto su quest’ultimo, se e cosa riesce a comunicargli.  Predisposti ad assistere a una storia che inevitabilmente è congeniata per spaventarci, l’obiettivo di questa è riuscire a sviarci, trovando una chiave originale per ricorrere ai consueti modi per farlo, o a sorprenderci, ribaltandoli completamente.

Quando invece da subito ci vengono messe tutte le carte sul tavolo, per poi servirsi di una per una, ed è palese l’orizzonte della narrazione, senza mai una deviazione, il risultato finale non può che essere l’opposto. Questo è ciò che accade in La abuela, il nuovo film di Paco Plaza: i tempi di REC sono lontani, come già dimostrava il suo precedente Veronica, ma in generale tutto l’horror spagnolo non sembra passare un buon periodo.

Susana (Almudena Amor) è una giovane modella in rampa di lancio che deve lasciare la sua vita a Parigi per tornare a Madrid: sua nonna Pilar (Vera Valdez) ha appena avuto un ictus. Anni prima, quando i suoi genitori erano morti, Pilar l’aveva cresciuta come una figlia e per lei è giunto il momento di ricambiare l’affetto e l’attenzione ricevuti. Susana si mette dunque a cercare qualcuno che si prenda cura della nonna, ma poco alla volta quelli che dovevano essere pochi giorni da passare con lei si trasformano in un incubo terrificante.

La storia dunque mette in chiaro il contrasto su cui verte: da una parte, il mondo della moda, giovane, laccato e seducente della nipote, dall’altra, quello della nonna, che deve affrontare la vecchiaia e il decadimento fisico e mentale. Le vicende si svolgono prevalentemente nella casa di quest’ultima, un antro che diventa, come da prassi, presenza viva e sorgente di terrore. Gli oggetti al suo interno (come una matrioska), le vecchie fotografie, i tanti specchi rinsaldano la relazione tra le due donne. La regia di Plaza però è del tutto sciapa: qualche movimento di macchina circolare e qualche cut improvviso per creare spaesamento, qualche falsa soggettiva per ingannarci, ma nulla di più per sfruttare a pieno le potenzialità della location. Un lavoro di routine, senza alcun trasporto.

Dall’incipit, una scena senza dialoghi e di soli rumori, è evidente come a Plaza interessi prima di tutto creare un effetto di tensione, utilizzando le coordinate descritte sopra come mera superficie, senza alcun discorso da portare avanti (sulle immagini, sulla famiglia che sia). Questo, in un horror, non sarebbe un problema, se solo poi effettivamente il meccanismo funzionasse e ne derivassero angoscia o perturbazione. E invece proprio queste latitano in La abuela, in uno sviluppo troppo sfacciatamente prevedibile.

Ci sono presenze oscure, porte che si aprono e si chiudono all’improvviso, una ragazza misteriosa, un evento fissato "dopodomani" che evidentemente funge da limite temporale, c’è infine la memoria della ragazza che fa brutti scherzi. Insomma, tutta una serie di presupposti riconoscibili su cui il film si adagia e cerca sostentamento, senza mai offrire un elemento di novità. Addirittura, ad un colpo di scena ne segue un altro pressoché simile, e si pretende di sorprenderci! Così, dopo un lungo lavoro di rilanci continui per creare un senso di attesa, al momento di tirare le fila il climax non può che trovarci totalmente disinteressati, per non dire infastiditi.

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