L'ultima vendetta, la recensione
Liam Neeson perde il pelo ma non il vizio: L'ultima vendetta è un revenge movie dei suoi, con un po' più di classe ma la stessa aria reazionaria.
La recensione di L’ultima vendetta, il film diretto da Robert Lorenz al cinema dal 17 luglio.
Già nei primi cinque minuti di L’ultima vendetta si cita Dostoevskij, suggerendo che al centro del film ci sarà un forte conflitto morale. E di materiale ce ne sarebbe: Irlanda del Nord, 1974. Finbar Murhpy (Neeson) ammazza gente per un’agenzia di omicidi a pagamento. Dopo aver scavato l’ultima fossa decide che ne ha abbastanza del mestiere, salvo tornare dal pensionamento per proteggere una madre e una figlia minacciate da una cellula di terroristi dell’IRA. Dalla solennità con cui il film pontifica su Delitto e Castigo, Santi e Peccatori (il titolo originale) ci si potrebbe aspettare una riflessione seria sulle implicazioni morali e politiche dell’uccidere, magari incrociando la questione nordirlandese.
Più di un recensore ha visto in L’ultima vendetta un po’ di Dna western, ed è giustissimo. Il protagonista vedovo, dalla facciata normale ma un po’ troppo bravo con le armi, fa subito pensare a Gli spietati. Ma prima di spellarsi le mani per il classicismo eastwoodiano occorre ricordare che i due film sono ai poli opposti per quanto riguarda la moralità della violenza. Eastwood partiva dalla superficie eroica di William Munny per spiegarci che sotto c’era un mostro. Qui si parte dalla messa in discussione dell’omicidio per arrivare progressivamente a giustificarlo, dando continuamente a Murphy nuove giustificazioni narrative per uccidere “moralmente”, e quindi, di fatto, non avendo mai il coraggio di mettere davvero in discussione il personaggio. Però che carino Neeson quando si dà al giardinaggio..