L'ordine del tempo, la recensione | Festival di Venezia
L’ordine del tempo di filosofico o affascinante ha ben poco, mentre invece si perde lungamente sui piccoli problemi personali di personaggi borghesi autoriferiti, che vedono la minaccia cosmica come l'occasione per riflettere ancora una volta di più su loro stessi e non su ciò che li circonda.
La recensione di L’ordine del tempo, presentato Fuori Concorso al Festival di Venezia 2023
Il film è totalmente ambientato in una villa sul mare dove Elsa (Claudia Gerini) ha invitato alcuni amici stretti (alcuni fisici, una giornalista, un banchiere, tutti alto/medio locati) per festeggiare i suoi cinquant’anni. Questo rituale celebrativo del tempo che scorre tuttavia si trasforma presto in un ritrovo psicanalitico quando l’amico e fisico Enrico (Edoardo Leo) rivela che c’è una probabilità su venti che un meteorite si schianti di lì a brevissimo sulla Terra.
Sulla carta, Liliana Cavani pone la possibilità di avere più punti di vista avendo personaggi con lavori o inclinazioni diverse, ma alla fine sembrano tutti una copia sbiadita dell’altro e alla fine tutto (per ognuno di loro) si riduce alla stessa idea ripetuta all’infinito di “abbiamo perso tempo”/“c’è troppo poco tempo”/“la vita è breve”. Lievemente si annida nel film l’idea dell’amore come forza cosmica maggiore, ma anche quel discorso è sconnesso, disordinato, mal posto.
Insomma, asteroide a parte, L’ordine del tempo è proprio un dramma borghese senza punti di interesse o di originalità. L’unica variante sul tema è che si attende il momento in cui improvvisamente tutto finirà: alla fine, ciò che porta davvero avanti il film, è il sadico desiderio spettatoriale di vedere come/quando/se tutto finirà davvero.
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