L'Immortale, la recensione
Come spin-off di Gomorra L'Immortale conferma quasi tutto quello che la serie ha fondato visivamente, a cambiare è la spinta sul melodrammatico
L'IMMORTALE, DI MARCO D'AMORE - LA RECENSIONE
Ciro l’Immortale è l’unico personaggio di Gomorra - La Serie dotato di un potere evocativo tale da meritare una origin story. Questo non lo rende automaticamente il più interessante (l’interesse che proviamo dipende sempre dalle trame in cui sono coinvolti i personaggi e dalle contraddizioni di fronte alle quali sono posti), ma di certo quello con un passato più affascinante. Per questo il suo spin-off suona sensato, e quando all’inizio vediamo come a pochissimi mesi dalla nascita sopravviva al terremoto di Napoli, ritrovato sotto macerie piene di morti adulti mentre lui, in fasce, è vivo, la mitologia è potentissima. L’uomo destinato a non morire, mentre intorno a lui tutti quelli a cui tiene lo abbandonano o passano a miglior vita.
L’altra metà, quella più direttamente imputabile a lui, è fatta di tempi, modi e soprattutto di direzione degli attori. Ed è una metà molto vecchio stampo.
Ma quella stessa enfasi la si trova anche nelle sentenze che spesso pronunciano i personaggi, inquadrate e impostate con luci e stacchi di montaggio larghi che forniscono loro ulteriori peso e sostanza, là dove invece i film più moderni (anche italiani e più che altro di genere) cercano di essere asciutti, di lasciare che emergano spontanei e non tirati fuori ad arte come si sarebbe fatto una volta.
A furia di flashback di traumi, dolcezze sopite male e tragedie Ciro ne esce come un personaggio diverso. Non perché faccia qualcosa di differente (anzi è assolutamente coerente da quel punto vista) ma perché c’è un’altra cornice che motiva e spiega quelle azioni, che le inquadra in un’altra maniera e ci fa parteggiare con quello che diventa qui un eroe romantico e non più un gangster bastardo e odioso.