Kurt Cobain - Quando ero un alieno, la recensione

Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.


Condividi

Gli anni Novanta sono stati gli anni migliori per la musica rock. Lo dice Jason Bateman nel film Juno a una combattiva Ellen Page che, nonostante sia più giovane di lui di almeno una quindicina d'anni, cita fine anni settanta e nascita del punk come epoca d'oro personale. Non è dato sapere chi abbia ragione, ognuno ha la propria opinione. Certamente la prima metà degli anni Novanta rappresentano l'ultimo salto sulla sedia, l'ultima botta di vita, l'ultimo periodo storico in cui la musica è stata importante per le persone. Ma davvero importante, una componente fondamentale della propria identità. Da lì in poi, dal grunge in poi, da quel movimento eterogeneo che partì da Seattle per raggiungere un po' tutto il globo, si sono viste poche cose buone, nessuna veramente importante, potente, innovativa, inaspettata.

E tutto quanto è partito da Kurt. Kurt Cobain. Vogliamo sperare che non ci sia bisogno di presentazioni per l'ultima vera leggenda del rock. Lo dice uno che non lo ha mai amato profondamente (io ascoltavo i Pearl Jam). Eppure è così. Per la portata, l'influenza, la novità, la capacità della sua musica di farsi "spirito del tempo" in quegli anni e di diventare, assieme ai Nirvana, l'ultima vera bandiera musicale di una generazione. L'omaggio fumettistico che Danilo Deninotti ha scritto per Edizioni BD, è un percorso attraverso la sua vita prima di diventare quella bandiera. Un prequel di quel che già tutti sanno di lui, diremmo se fossimo dei nerd delle serie tv all'ultimo stadio (damn). Il racconto per punti dell'infanzia di Cobain, della sua famiglia normale, con problemi normali delle famiglie americane anni Ottanta. Fatta di sostegno a volte, tensioni in altri momenti, genitori che fanno i genitori e, come tali, sbagliano. Non aguzzini che rendono la vita un inferno, solo esseri umani fallibili che hanno a che fare con un giovanotto decisamente più sensibile della media, che amplifica ogni delusione e si porta dentro un dolore imprevedibile.

Non è senza speranza, però, il giovane Kurt. Sulla sua strada incontra la musica e una serie di persone disposte ad insegnargliela. Dalla zia rockettara agli amici e colleghi che punteggiano la sua gavetta di palcoscenico, traghettandolo alla fondazione dei Nirvana, con cui si chiude il volume. Sono gli alieni. Come lui. No, Kurt non era un terrestre. Come avrebbe potuto? Non vedeva le cose come gli altri. Per questo si è convinto di essere un alieno e che altrettanto lo fosse chiunque riuscisse a capirlo, chi condivideva con lui una passione incontenibile per la musica, tutti coloro che credevano nella sua capacità di esprimersi attraverso di essa. Quando eravamo alieni è la storia di un ragazzo che impara a riconoscere i suoi simili e, attraverso questo riconoscimento, completa la propria formazione, diventa finalmente se stesso.

Una cronaca veloce, questo volume. Forse troppo. Nella perfetta veste grafica del bravo Toni Bruno, che sceglie un'atmosfera monocromatica sui toni azzurro per evocare ricordi e malinconie, la narrazione scorre in fretta. Si passa rapidamente da infanzia serena ad adolescenza tormentata, senza il tempo per capire cosa ci sia nel mezzo. Uno schematismo che non permette al lettore di farsi prendere dalla narrazione, di identificarsi con il giovane Kurt, di vedere il mondo con i suoi occhi. Il risultato è un prodotto interessante, anche nell'attuale panorama dei biopic musicali che sembrano aver sposato il fumetto come medium elettivo, ma non troppo entusiasmante. Anche grazie all'onestà di Deninotti, che non ha romanzato granché la vita di Cobain, rimanendo fedele all'esistenza tutto sommato normale che il leader dei Nirvana ha condotto prima del successo. A parte essere un alieno, ovviamente.

L'impressione, a fine lettura, è quella di aver letto un riassunto per punti, una rapida cronaca dei momenti salienti. Pochi dialoghi ed estrema linearità narrativa non aiutano a mettere carne al fuoco di un fumetto che consigliamo a tutti coloro che sanno poco o nulla della vita di Cobain pre-successo planetario. I già informati (forse noi vecchi bacucchi) accoglieranno il volume con un sorriso, ne osserveranno attentamente le belle tavole, percepiranno la passione del team creativo per la musica e il personaggio, ma non ne usciranno particolarmente arricchiti. Forse, se avessimo avuto accesso alla mente di Kurt, se gli autori avessero interpretato almeno le sue sensazioni, forse con una narrazione in prima persona ci sarebbe stata più emotività in un fumetto interessante e ben confezionato che ha nell'atteggiamento meramente cronachistico il suo principale difetto.

Continua a leggere su BadTaste