Kraken, la recensione
Abbiamo recensito per voi Kraken, la graphic novel Tunué di Emiliano Pagani e Bruno Cannucciari
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Il protagonista, Dougarry, è un conduttore televisivo, che presenta un programma d'intrattenimento sui grandi misteri irrisolti, una sorta di Voyager, per capirci. È una persona pragmatica, sola e disillusa che veste un ruolo da vincente sul piccolo schermo che non gli appartiene nella vita reale.
Il soggetto di Pagani è una storia dai toni cupi e dal sapore amaro. Il filo rosso che lo pervade è il tema del mostro, ma l'elemento curioso e immaginifico si affievolisce lungo l'intreccio. Il gioco narrativo è una favola che viene meno pian piano, con il fantastico che cede il posto all'orrore.
"In fondo, ogni epoca ha i suoi mostri a cui sacrificare la propria innocenza in cambio di speranza e buona sorte", afferma Dougarry: una sentenza illuminante, che riallaccia Kraken a Don Zauker, Nirvana e La fiamma, testimoniando una sensibilità e una coerenza intellettuale non da poco da parte di Pagani.
Sfogliando l'elegante cartonato, emerge immediatamente il talento e la classe di Cannucciari; una lunga carriera alle spalle la sua, gran parte della quale dedicata a Lupo Alberto, di Silver. Qui, però, il tratto è decisamente più realistico e sporco, e le pagine non in bianco e nero ma nemmeno propriamente a colori: l'artista romano utilizza la tonalità seppia, una sorta di marrone-grigio in tutte le sue possibili sfumature, quasi impregnandone la carta, soprattutto in alcune splendide splash-page.
Questo particolare pigmento, utilizzato in Fotografia per ottenere un effetto d'invecchiamento, qui sembra sottrarre la vicenda a una dimensione terrena, sospendendola in un limbo spazio-temporale, come se ci fosse stata restituita direttamente dalle profondità dell'oceano.