Kobieta Z…, la recensione | Festival di Venezia

Nella lunga odissea della sua protagonista, Kobieta Z… incarna i mutamenti di un’intera nazione, dipingendo un ritratto profondo e toccante

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La recensione di Kobieta Z… (Woman Of...), il film di Małgorzata Szumowska e Michał Englert in concorso al Festival di Venezia 2023

“Le rughe di una nazione sono altrettanto visibili di quelle di una persona”, sosteneva Emil Cioran nel suo La tentazione di esistere; di rughe abbonda la Polonia raccontata da Małgorzata Szumowska e Michał Englert nel loro Kobieta Z… (Woman of…). Rughe di un paese in perenne mutamento nel lasso di tempo (45 anni) mostrato, che si riflettono sul volto - o meglio, sui volti - della protagonista Anjela, la donna del titolo. Una sineddoche azzeccata e sofferta, in cui l’affermazione della propria identità diviene priorità pari all’ossigeno dopo decenni passati a soffocare la propria voce.

Anjela nasce con il nome Andrzej e con il volto di Mateusz Wieclawek; già dalle prime immagini percepiamo uno scollamento tra la reale natura che pulsa sotto la superficie e il ruolo che la società ha preventivamente affidato alla protagonista. Andrzej, i biondi capelli a incorniciare un viso che ricorda il Tazio di Morte a Venezia, s’innamora della coetanea Iza (Bogumila Bajor) e sembra veleggiare a gonfie vele nelle acque del matrimonio e della paternità. Lo spettatore sa, al contrario della maggior parte dei parenti e amici di Andrzej, che Anjela è già presente in quel corpo sbagliato.

Identità segre(ga)ta

Come Michelangelo Buonarroti col suo Mosè, Szumowska ed Englert lavorano il marmo di Kobieta Z… allo scopo di liberare la figura che, delineata fin dalla nascita, scalpita al suo interno. Per farlo, costruiscono un racconto la cui forma muta profondamente col passare del tempo, veicolata dal cambio degli interpreti di Anjela e Iza (nella maturità, splendidamente incarnati da Małgorzata Hajewska-Krzysztofik e Joanna Kulig). La parte legata alla giovinezza di Anjela è quasi priva di dialoghi, fotografata con colori rutilanti che ben simboleggiano il caleidoscopio interiore della protagonista che scopre sé stessa.

Segue, in corrispondenza del cambio d’attori, uno smorzamento delle tinte e un incremento delle sequenze parlate, laddove Anjela inizia a far sentire la sua voce. Eppure, Kobieta Z… non scivola mai nel mero didascalismo, non negando però la propria natura di film di denuncia. L’odissea emotiva e burocratica di Anjela in un paese che nega la sua esistenza e che le impone la rinuncia al legame con Iza per diventare ufficialmente chi è sempre stata commuove e appassiona. Seppur con diverse lungaggini nella seconda parte, Kobieta Z… è ammirevole nel suo intento di abbracciare quanti più aspetti possibile del percorso di transizione.

Un moto di speranza

Un’ambizione altissima contraddistingue il progetto, votato a spiegare senza la ferocia del rancore, a scavare senza la morbosità del voyeurismo. Un plauso doveroso va ad Hajewska-Krzysztofik, raffinatissima interprete che ben modula il conflitto tra esteriorità e interiorità di Andrzej/Anjela, coadiuvata dalla sensibilità interpretativa di un’eccezionale Kulig. Le due attrici folgorano con una chimica che trascende società e ruoli di genere, in un duetto che profuma di capolavoro e che nobilita i momenti più deboli del secondo e terzo atto.

Se l’uomo di Andrzej (!) Wajda - cineasta cui i registi guardano nella costruzione di questa parabola intima che si fa collettiva - era di ferro e di marmo, la donna di Szumowska ed Englert è fatta di anima, speranze e coraggio. Materiali inafferrabili, che divengono solida sostanza quando trasposti sul grande schermo con una simile determinazione. Mentre la Polonia, nel 2023, persevera nell’ostacolare la comunità LGBTQ+ con retrogrado bigottismo, Kobieta Z… racconta un’umanità disposta a guardare oltre, abbracciando il diverso come ricchezza invece che cancellarlo come anomalia.

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